Prendere sul serio la variante Corbyn
Socializzare l’economia britannica a colpi di dirigismo non è un dettaglio e in caso di voto rapido aggiungerebbe qualcosa di decisivo al quadro destabilizzante del “capitalismo che deve essere salvato da sé stesso”. Guida a un bordello mica male
In un bordello si fanno marchette, e dunque non si spiega tutta questa indignazione molto indignata per il nuovo umanesimo. Sarebbe consigliabile, invece di perdere tempo con la coscienza, impegnare la conoscenza sui nuovi possibili fronti del mondo iperpopulista e veterosocialista in confusa, formidabile delineazione. Uno dei quali possibili fronti è “la variante Corbyn” in Gran Bretagna. Boris Johnson è un tipo assai spericolato, ora vuole espellere i conservatori indipendenti che gli neghino il voto nella breve finestra temporale di Westminster lasciata libera dalla sua prorogation astuta e piuttosto controversa. Se si ritrovasse senza una maggioranza, non essendocene di ricambio in un Parlamento eletto con il maggioritario (al contrario del nostro felice connubio), si dovrebbe votare. Si chiama snap election. Si vota subito, poche settimane di campagna e via. E la data la fissa il premier. L’astuto Boris vuole probabilmente votare, se prima o dopo la deadline del 31 ottobre, Brexit senza deal, non si capisce ancora bene. Vuole fare dei Tories un solido e churchilliano Brexit party. Ovvio che al centro del voto sarebbe la querelle sulla Brexit, che si svolga subito prima o subito dopo il 31 ottobre. E lì, pensa Johnson, molte sono le carte da giocare in un paese portato allo stremo dai dibattiti su come e quando e perché tradire, dico “tradire”, il pronunciamento popolare del 2016 (via dall’Unione europea, 52 per cento di sì).
Tutto bene, anzi male, si vedrà. Ma un Brexit party esiste già, è quello di Nigel Farage, che ha peraltro vinto le elezioni europee. Un voto diviso, con i Tory divisi, con il centro antiBrexit che si riaggrega, e con la voglia di scombussolamento che circola negli establishment e contro gli establishment, per non dire nei settori sociali esposti alla crisi globale, bè, non si può escludere la vittoria per un pelo, magari, di Jeremy Corbyn e del suo old labour. Così la variante neosocialista o veterosocialista si aggiungerebbe a sorpresa a Trump, che è un protezionista intermittente e un dirigista da Fox News ma fa parte della destra antifiscale reaganiana classica, e a tutto il resto del gran casino nazipop atlantico, brasiliano, europeo. Mica male: secondo il Financial Times 300 miliardi di azioni sarebbero confiscate, con Corbyn, e destinate ai lavoratori dipendenti in dieci anni. E una estensione al settore privato delle regole statali per la vendita degli immobili agli inquilini (right to buy), varate dalla Thatcher nel settore pubblico per trasferire ricchezza dallo stato ai privati (cittadini privati ovvero popolo), consentirebbe entro certe condizioni la realizzazione di un’altra bella confisca di diritti di mercato, giustificata (anche da voci liberiste) con la necessità di impedire che le nuove generazioni siano sprovviste dell’opportunità di divenire proprietari immobiliari (vista la bolla). Niente di scandaloso, non è necessario intonare l’Inno a Caracas prima del tempo, qui non si fanno scandali e non si pratica l’indignazione, ma socializzare l’economia britannica con dosi o overdosi di socialismo dirigista non è un dettaglio. E la variante Corbyn, appunto, aggiungerebbe qualcosa di decisivo, se realizzata nelle urne emergenziali del postBrexit, al quadro destabilizzante del “capitalismo che deve essere salvato da sé stesso”: un nuovo tratto che si incrocia bene con i dettami del populismo assistenziale. Mentre facciamo marchette nel bordello italiano, diamo un’occhiata anche alla confusione istituzionale e ai miti d’azione di paesi ben più solidi del nostro.
Dalle piazze ai palazzi