Robert Mugabe (foto LaPresse)

È morto Mugabe, che prima liberò poi distrusse lo Zimbabwe

Maurizio Stefanini

L'ex presidente aveva guidato il paese con un regime autoritario dal 1980 al 2017, aveva 95 anni

“E' con la massima tristezza che annuncio il decesso del padre fondatore e dell'ex presidente dello Zimbabwe, Comandante Robert Mugabe. Il Comandante Mugabe era un'icona di liberazione, un panafricanista che ha dedicato la sua vita all'emancipazione e alla responsabilizzazione del suo popolo. il contributo che ha dato alla storia della nostra nazione e del nostro continente non sarà mai dimenticato. Possa la sua anima riposare nella pace eterna”.

 

  

Così il presidente dello Zimbabwe Emmerson Dambudzo Mnangagwa ha annunciato via Twitter la morte del suo predecessore. Con un messaggio che è un bel capolavoro di ipocrisia, a partire dal fatto che era stato lui a rimuoverlo dalla presidenza, con un vero e proprio colpo di stato. Mugabe, d’altra parte, al potere era arrivato nel 1980. E da allora non lo aveva più voluto mollare.

 

   

Nato il 21 febbraio 1924 in una missione gesuita a un’ottantina di chilometri a sud-ovest di Salisbury, capitale dell’allora Rhodesia del Sud, era figlio di un falegname, sua madre lo aveva abbandonato da piccolo ma i Padri missionari lo avevano presto preso sotto la loro protezione permettendogli di studiare e di laurearsi ben tre volte. Era diventato insegnante,a nel 1965 i coloni bianchi guidati da Ian Smith pur di non dare diritti ai neri avevano proclamato l’indipendenza da Londra, stabilendo un regime di apartheid direttamente ispirato a quello sudafricano. Mugabe era così diventato il capo del principale movimento di guerriglia contro questo regime: trovando comunque il tempo tra una imboscata e l’altra di prendere altre due lauree per corrispondenza, in Diritto e in Amministrazione. Nel 1980, dopo che Washington e Londra avevano imposto elezioni multirazziali, Mugabe aveva vinto le elezioni.

 

Primo ministro dal 18 aprile 1980 al 31 dicembre 1987, era poi diventato presidente. “Hai tra le mani il gioiello dell'Africa, adesso, trattalo con cura…”, gli avevano detto nel giorno dell’insediamento i colleghi, mozambicano Samora Machel e tanzaniano Julius Nyerere. L'ex-Rhodesia, diventata Zimbabwe, era un paese con una rete stradale e ferroviaria tra le migliori dell’Africa, e città tra le più pulite. Aveva un’agricoltura diversificata che esportava sia frutta tropicale come ananas, mango e papaya, sia frutta di climi temperati tipo mele, pesche e prugne, oltre a ortaggi che rifornivano direttamente i mercati di Londra e a uno dei più pregiati tabacchi del mondo. La sua produzione di mais sfamava non solo la popolazione nazionale ma anche quella dei paesi limitrofi. Nel sottosuolo abbondano ancora oggi oro, cromo, amianto, platino, carbone. E la diga sullo Zambesi riforniva di elettricità mezza Africa australe.

 

Ma Mugabe riuscì a sfasciare tutto: in particolare con una riforma agraria con la quale cacciò 4000 proprietari terrieri bianchi senza però sostituirli, distruggendo così il prospero agrobusiness. Ne seguì la carestia, con tre milioni di persone ridotte a dipendere da un aiuto alimentare permanente, ma col governo che distribuiva l’aiuto internazionale solo a chi era fedele al potere. L’aspettativa di vita si ridusse a trent’anni, mezzo milione di persone rimasero senza casa, un milione fu costretto a emigrare all’estero. Le entrate del turismo si ridussero dei quattro quinti, l’estrazione dell’oro della metà, il 70 per cento della popolazione si trovò disoccupato, un altro 35 per cento contrasse l’Aids, di cui iniziarono a morire 3000 persone a settimana. Nel luglio 2008 l’inflazione era arrivata al record mondiale del 231.150.888,87 per cento, nel 2009 la moneta cessò di essere emessa, per essere sostituita da valute straniere.

 

In più, alla faccia del panafricanismo, Mugabe infierì non solo contro gli “europei” ma anche contro i neri non di origine locale, togliendo la cittadinanza a ben 2 milioni: uno su quattro. E domò una rivolta nel Matabeleland al costo di 20.000 morti. 20.000 furono anche gli invitati alla festa per il matrimonio del 1996 con Grace Marufu: una segretaria di 40 anni più giovane che gli aveva già dato due figli. Provocò uno sciopero dei 60.000 dipendenti pubblico, a cui aveva negato un aumento di stipendio.

 

Per mantenersi al potere, dopo aver pensato per un po’ a stabilire un partito unico, ricorse alla manipolazione del voto su larga scala e alla repressione. Ma per un po’ tra 2009 e 2013 accettò pure di condividere il potere con l’opposizione, nominando primo ministro il suo storico avversario Morgan Tsvangirai – che aveva iniziato come sindacalista nella rivolta dei dipendenti pubblici al tempo del matrimonio con Grace – apposta per screditarlo nell’inciucio. Insomma, un tipico dittatore populista del Terzo Mondo, ferocemente omofobo, caratteristica che lo rese inviso agli ambienti progressisti internazionali, e impedì di farlo diventare una icona alla Chávez.

 

E' stata alla fine Grace la sua rovina, quando il 6 novembre 2017 ha provato a destituire Emmerson Mnangagwa per mettere al suo posto lei. Impopolarissima presso partito e esercito, che infatti il 15 novembre 2017 sono insorti, mettendo il presidente agli arresti. C’è stato però bisogno di una minaccia di impeachment perché Mugabe accettasse di dimettersi, in cambio di immunità per sé, sua moglie e il loro patrimonio. Anzi, gli hanno dato anche una buonuscita da 10 milioni di dollari.

Mugabe ha manifestato il suo broncio nel luglio del 2018, dicendo che avrebbe votato per l’opposizione. Ad aprile si era ammalato, e aveva iniziato a viaggiare a Singapore per ricevere trattamenti specialistici. A Singapore è morto, all’età di 95 anni.

Di più su questi argomenti: