Auto elettrica Tesla a Oslo, in Norvegia (LaPresse)

Inizia l'ecolotta

Micol Flammini

In Norvegia le elezioni sono un referendum sull’ambientalismo. Prepariamoci, è questo il nuovo fronte

Roma. Lunedì in Norvegia ci saranno le elezioni locali, un evento piccolo, regionale, che però sta assumendo i contorni di un concentratissimo esempio, un timido affaccio sul futuro, sulle nuove battaglie e le nuove fratture sociali. Scrive il Financial Times che il voto norvegese si sta trasformando in un referendum sull’ambientalismo in cui a sfidarsi sono i Verdi e un nuovo partito nato come pagina Facebook su iniziativa di una personal trainer, Cecilie Lyngby. Il partito si chiama Fnb, Folkeaksjonen Nei til mer bompenger. In italiano: No all’aumento del pedaggio. E’ una formazione molto recente, arrivata come reazione all’introduzione a giugno di nuovi pedaggi imposti per disincentivare i norvegesi a muoversi in macchina. Queste nuove tasse sono diventate un argomento di dibattito, il punto dirimente della campagna elettorale per le elezioni locali, tanto che Verdi da una parte e Fnb dall’altra, nei sondaggi, hanno tolto voti non soltanto ai partiti tradizionali, ma anche ai populisti del Partito del progresso. In Norvegia ci sono due tipologie di pedaggi, uno serve a contribuire alla costruzione di nuove strade, l’altro invece è una tassa per l’ambiente e per la congestione del traffico. Ci sono delle telecamere per le città che registrano quante volte una vettura ha percorso una strada, quanto si è mossa e il conto viene presentato ogni mese. Così i norvegesi si sono accorti che il tragitto che avevano compiuto gratuitamente per tutta una vita era diventato a pagamento e anche caro. Un prezzo che i norvegesi non sono disposti a pagare e che si è in fretta tradotto, in termini politici, in una battaglia tra “ricchi” che possono permetterselo e “poveri” che non possono.

  

Dopo l’austerità e dopo l’immigrazione, la nuova battaglia politica del “noi contro di voi” ha come argomento le politiche ambientali. Il primo segnale era arrivato dalla Francia dove le proteste dei gilet gialli erano scoppiate per le tasse sul carburante. I primi catarifrangenti vennero fuori contro l’aumento del prezzo della benzina, un’imposta che danneggiava non tanto chi viveva in città ma chi per spostarsi era costretto a usare la macchina e il movimento degenerò in fretta nella crisi che mise la Francia e soprattutto Parigi in pericolo e in difficoltà. In Finlandia, i Veri finlandesi hanno reso la lotta alle misure ambientali una delle parti fondamentali del loro programma. In Germania, l’AfD ha raddoppiato i suoi voti nelle elezioni della scorsa settimana in Sassonia e Brandeburgo con una campagna elettorale che, oltre a dichiarare guerra all’immigrazione, si concentrava sulla tutela delle centrali a carbone che Berlino vorrebbe chiudere entro il 2038 ma che ancora danno lavoro a 22.500 persone. L’altro partito che è cresciuto nel voto dei due Länder dell’est è quello dei Verdi, i quali invece hanno proposto l’opposto: una chiusura accelerata delle centrali inquinanti a carbone. Il tema non è soltanto europeo: anche gli Stati Uniti si preparano a una battaglia simile, con la proposta di un Green New Deal che prevede un piano di investimenti da mille miliardi di dollari da finanziare tramite la tassazione dei redditi. E’ questa la nuova battaglia dell’ala più a sinistra del Partito democratico americano, alla quale si oppone Trump e anche il suo elettorato.

    

L’ecocompatibilità costa e non tutti sono disposti a pagarla e chi non è disposto a pagarla è pronto a ribellarsi. Su questa faglia si sta costruendo la nuova battaglia sociale, il nuovo “noi contro di voi”. La Norvegia con queste elezioni locali è il primo paese in cui il voto ha messo da una parte gli ambientalisti e dall’altra chi alle politiche ambientali si oppone. Un referendum in piccolo su una faglia mondiale.

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