“Le donne cristiane sono il gruppo più perseguitato al mondo”
Dalle orecchie tagliate in Africa alle schiave del sesso in Pakistan
Roma. Quella foto avrebbe dovuto fare il giro del mondo. Le orecchie tagliate, le ferite cauterizzate e coperte dalle bende, i bambini in braccio. Sono le donne cristiane di Kalagari, nel nord del Camerun, cui i fondamentalisti islamici di Boko Haram hanno tagliato l’orecchio come avvertimento. E’ lo stesso gruppo jihadista che ha rapito centinaia di ragazze cristiane in Nigeria. Molte sono state messe incinte. Per loro lanciammo soltanto un flebile hashtag, #BringBackOurGirls. Leah Sharibu è ancora prigioniera per il suo rifiuto di convertirsi all’islam.
“Le donne cristiane sono il gruppo più perseguitato al mondo”, dichiara David Curry, a capo di Open Doors, la principale ong che informa sulla persecuzione anticristiana nel mondo. Perché mutilare le donne cristiane significa distruggere il cuore vivo, la fonte stessa di quelle comunità sotto assedio esistenziale. Nei giorni scorsi, oltre alle donne del Camerun, i pastori islamici fulani hanno tagliato il braccio alla moglie del traduttore della Bibbia Angus Abraham Fung, ucciso nella provincia di Wum. E le autorità del Pakistan hanno smantellato l’ennesima tratta di sfruttamento sessuale delle ragazze cristiane pachistane trasferite in Cina, dove vengono stuprate e sposate a forza.
Pochi giorni fa, l’avvocatessa cattolica Tabassum Yousaf, in un incontro a Karachi organizzato da Aiuto alla chiesa che soffre, ha rivelato che “ogni anno almeno mille delle nostre ragazze vengono rapite, violentate, obbligate a convertirsi all’islam e costrette a sposare i loro aguzzini”. “L’oppressione si manifesta a diversi livelli per le ragazze cristiane in Pakistan” denunciava questa settimana Nabila Feroz Bhatti, attivista dei diritti umani a Lahore, parlando con un’altra ong, l’International Christian Concern. “E’ stato documentato che le giovani ragazze cristiane affrontano livelli più elevati di molestie sessuali e sono perseguitate per la loro fede cristiana”. Lo stesso accade in Egitto. Prima della “rivoluzione” sparivano quattro o cinque ragazze cristiane al mese, oggi la media è di quindici, rivela Ebram Louis, fondatore dell’Associazione per le vittime di rapimenti e sparizioni forzate. Si ritiene siano almeno 550 le ragazze cristiane rapite, violentate e costrette a sposare il proprio carnefice dopo essersi convertite all’islam. Altre sono plagiate da giovani che le obbligano a convertirsi e a contrarre matrimonio islamico. Cancellano con l’acido la croce copta tatuata sul polso. Delle 45 donne cristiane prelevate dall’Isis da Qaraqosh, in Iraq, solo sette sono tornate. Il primo a “comprare” la cristiana Rita Habib fu un iracheno di Mosul. Poi due sauditi. E infine un siriano. “Siamo state stuprate e torturate”, ha raccontato Rita al Times. Puliva e teneva in ordine la casa. “La moglie urlava ‘abed’ (schiava) o ‘kafir’ (infedele) per convocarmi”. La Shlama Foundation, che ha pagato il riscatto di Rita, è finanziata dalla diaspora assira e caldea negli Stati Uniti.
E la più tristemente nota delle donne cristiane perseguitate, Asia Bibi, ha parlato due giorni fa al Telegraph dal suo esilio in Canada, dove vive in una località segreta, dopo dieci anni di carcere e una condanna a morte per “blasfemia”. “Tutta la mia vita ne ha sofferto, i miei figli ne hanno sofferto e questo ha avuto un impatto enorme sulla mia vita”, ha detto Bibi in una serie di messaggi vocali inviati al Telegraph. “Quando le mie figlie mi facevano visita in prigione non ho mai pianto di fronte a loro, lo facevo dopo, da sola. Pensavo a loro, a come vivevano”. Alle donne cristiane nel Decimo parallelo africano i fondamentalisti islamici hanno tagliato le orecchie. Ma noi relativisti occidentali non abbiamo orecchie per sentirne e riscattarne il lamento.