Nel discorso di Macron gli anticorpi contro il caos
Il presidente francese ha detto: basta con tutta questa rassegnazione. Poi la battaglia è diventata europea (e dà soddisfazioni)
Milano. A metà agosto, prima di tornare a Parigi, Emmanuel Macron si è fermato in un paesino della Costa azzurra per una commemorazione e un incontro con i cittadini. Abbronzato e sorridente, è stato subito criticato: eccolo, il presidente impopolare che prova di nuovo (e inutilmente) a ingraziarsi il popolo. In quell’occasione, Macron ha tenuto un breve discorso che anticipava quel che sarebbe accaduto nelle settimane successive in Francia e nel resto dell’Europa. Non dobbiamo rassegnarci, ha detto Macron, non dobbiamo cedere a quei “piccoli abbandoni” che poi diventano, nella distrazione e nell’assenza di cura, “crisi profonda”. Risuonavano ancora nelle teste dei francesi e degli europei gli slogan dei gilet gialli e dei loro sostenitori, i sondaggi mesti, il tonfo del presidente jupitérien senza tocco magico che hanno dominato la prima parte dell’anno. Invece in quelle poche parole c’era la sintesi di una nuova “resistenza”, l’appello a non dimenticarsi che si può essere abbastanza coraggiosi da sconfiggere “l’esprit de résignation”.
Il rientro si è svolto all’insegna di questo nuovo slancio, con l’appuntamento a Biarritz per il G7 che ha celebrato un nuovo attivismo internazionale di Parigi (in particolare sul dossier iraniano), con il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian che ricorda che bisogna saper “osare” e non soltanto adattarsi a capricci e stravolgimenti stranieri, e con le riforme interne, a partire da quella delle pensioni. Anche i cultori del declino macroniano stanno rimodulando i toni e dal pessimismo compiaciuto sulle sorti del presidente francese sono passati a un nuovo approccio, che tiene conto del cosiddetto “sorpasso” dell’economia francese su quella tedesca e dell’aumento di popolarità. Macron vuole riempire il vuoto lasciato dall’America First trumpiano, un grande classico della grandeur internazionale di Francia, ma alcune analisi informate dicono che la propensione al rischio di Macron è accolta bene in un’Europa desiderosa di contare e stanca dei soliti battibecchi franco-tedeschi.
La battaglia di Macron contro la rassegnazione è contagiosa. In Italia l’“inevitabile” Matteo Salvini non è più ministro, nel Regno Unito il poderoso Boris Johnson che doveva mettere fine ai tentennamenti ingarbugliati del precedente governo si è trovato di fronte, nel giro di pochi giorni, a quattro soldati dell’esercito contro la rassegnazione: i parlamentari ribelli, la Camera dei Lord, il laburista Jeremy Corbyn (se non cambia ancora idea) e soprattutto i cittadini inglesi, quello che ha urlato a Johnson in visita “dovresti essere a Bruxelles a negoziare!” e l’altro che “non ti voglio nella mia città” – e non si trovavano in un feudo degli anti Brexit. E’ presto per dire che il caos sovranista-nazionalista che ha scandito il 2019 è stato superato, ma per la prima volta si vede, da parte della politica e anche dei cittadini, la volontà di governarlo, questo caos, non soltanto di accettarlo. E mentre i partiti del Regno Unito si rimpallano lo slogan trust the people, fidati della gente, sublimazione finale dello scontro tra establishment e popolo, si intravede più nitido il cambiamento in corso: quando gli idoli del popolo iniziano a governare sono i primi a non saper più se e quanto fidarsi del popolo, e il sospetto è ricambiato. Questa insofferenza fa a pugni con il caos e con la rassegnazione e sì, ogni tanto le capita di vincere.
Dalle piazze ai palazzi