Dominic Cummings (LaPresse foto)

Cummings dice: a Londra la Brexit è distorta

Giorgio Coluccia

Ecco il nord-est inglese: nella zona Brexit Central, il “no deal” qui farebbe più male che nel resto del Regno

Dominc Cummings, il guru del premier britannico Boris Johnson e soprattutto del mondo del leave, è stato intercettato da un giornalista ieri mentre usciva di casa: ci dice cosa succede ora? “Voi giornalisti dovreste uscire da Londra, andate e parlate con qualcuno che non sia un ricco remainer”. Ecco allora il Nordest inglese, un pezzo di paese che, come tutti, chiede risposte, soprattutto perché qui la Brexit è stata votata alla grande, per convinzione o disperazione non è chiaro, ma le percentuali furono limpide a Sunderland (61,3 per cento), a Darlington (57,5), a Middlesbrough (65,5). Da allora tutti chiamano questa zona Brexit Central, nel bene e anche nel male, visto che secondo uno studio della Commissione per la Brexit presso i Comuni il “no deal” qui farebbe più male che nel resto del Regno. Tra le nove macroregioni inglesi, il North-East esporta più beni pro capite verso l’Europa e riceve ingenti fondi comunitari contro lo stallo economico causato dal declino dell’industria pesante e ha la più alta percentuale di salari minimi del Regno Unito: ora si teme che un mancato accordo con l’Ue porti un’economia tanto vulnerabile al collasso, di fronte ai ridotti investimenti delle aziende internazionali e al mancato accesso ai mercati. Sarebbe il colpo di grazia per le poche industrie rimaste, operanti nel settore automobilistico, farmaceutico e petrolchimico, che rischiano di fare la fine del resto del patrimonio industriale già disperso, costituito per tutto il Novecento da miniere di carbone, cantieri navali e vaste produzioni di ferro e acciaio. Nel Teesside, l’area sud del Nordest, il panorama si compone ancora di fabbriche in disuso, docks in rovina e tubi arrugginiti: non è tanto diverso da quando nei dintorni, nel 1987, arrivò in visita Margaret Thatcher e si parlò di “walk in the wilderness”, di una camminata in una landa desolata, fatta già a quel tempo di opifici dismessi e lavoratori mandati a casa.

 

Restando sulla costa ma risalendo tutta la regione, lo scenario di certo non cambia e a Sunderland, sulle rive del Wear, del passato ne hanno fatto addirittura un cimitero. Nella centrale Keel Square, hanno scolpito i nomi delle 8.200 imbarcazioni costruite nei 400 cantieri navali che un tempo popolavano la città: una per una, incise su una pavimentazione di granito, come una lapide gigantesca.

 

L’impasse attuale fa paura anche a chi deve investire, tanto che il protrarsi della Brexit ha messo in fuga la Nissan, casa automobilistica il cui polo produttivo principale in Europa si trova proprio a Sunderland. I giapponesi hanno fatto cessare la produzione dei modelli Infiniti, il marchio di lusso di riferimento, e hanno già avvertito che il nuovo X-Trail sarà prodotto altrove. I vertici dell’azienda hanno poi annunciato licenziamenti a livello globale e i lavoratori locali si sentono minacciati visto che in questo impianto sono impegnati settemila operai, che salgono a oltre 25 mila considerando fornitori e indotto.

 

Invece dalle rive del Tyne, contro la Brexit, è arrivata una provocazione da parte della Newcastle University. Infatti lo scorso 29 marzo, giorno in cui era prevista inizialmente l’uscita dall’Ue, l’ateneo ha innalzato la bandiera dell’Unione europea sul tetto del proprio edificio. L’ha fatta sventolare con orgoglio, mostrando quelli che sono i desideri di ogni università britannica e del mondo accademico. Il gesto di sfida dell’ateneo è stato festeggiato dagli studenti che arrivano da ogni parte del mondo e che rappresentano un bacino florido per delle realtà ormai incapaci di vivere d’industrie e cantieri navali come un tempo. La Newcastle University conta 28 mila studenti, ma in città ci sono anche la Northumbria University (27 mila studenti) e il Newcastle College con altri 16 mila ragazzi, senza contare le scuole di lingua inglese che attraggono migliaia di giovani, molti dei quali si fermano poi a studiare nelle facoltà d’Oltremanica. L’uscita dall’Unione europea ora rischia di trasformarsi in un deterrente, e tanta e tale incertezza già si sente persino qui, dove non si chiedono rivoluzioni, ma una Brexit ragionevole, se esiste, questo sì.