Il premier britannico Boris Johnson (foto LaPresse)

La Brexit, il mito della democrazia diretta e la saga di Fall River

Alessandro Maran

Nella cittadina americana un assaggio di quel che vuol dire fare le domande giuste e interpretare il mandato popolare

Ancora una volta l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si è rivelata più difficile del previsto e ad assestare un colpo mortale alla strategia di Boris Johnson sono stati stavolta 2 e più deputati conservatori che hanno votato per bloccare una rottura senza intesa con l’Unione europea e hanno poi bloccato anche il tentativo del governo di indire rapidamente nuove elezioni.

 

Per spiegare ai lettori il pasticcio della Brexit, un po’ di tempo fa The Interpreter, la rubrica di approfondimento del New York Times curata da Max Fisher e Amanda Taub, ha raccontato l’incredibile storia delle elezioni di Fall River, una cittadina del Massachusetts.

 

La saga di Fall River è cominciata l’anno scorso, quando il sindaco Jasiel Correia, un giovane di 26 anni, è stato arrestato con l’accusa di aver frodato gli investitori e falsificato la dichiarazione dei redditi.

 

Secondo gli inquirenti, dopo aver ricevuto il capitale necessario per realizzare una app per il marketing digitale chiamata SnoOwl, avrebbe speso il denaro degli investitori per sostenere “uno stile di vita sontuoso” (che comprendeva gioielli, abiti firmati, una Mercedes) e per finanziare la sua (riuscita) campagna elettorale. Correia ha contestato le accuse e ha rifiutato di dimettersi. Così un gruppo di cittadini di Fall River ha raccolto le firme per proporre una “recall election” (una procedura di revoca, in vigore in diversi stati degli Stati Uniti, con la quale gli elettori possono rimuovere un eletto attraverso una votazione diretta, prima che il suo mandato elettorale sia terminato) che si è tenuta il 12 marzo scorso.

 

Nella “recall election” Correia ha preso una sonora tranvata: circa il 61 per cento degli elettori ha votato per rimuoverlo dall’incarico. Solo 4.911 persone, vale a dire il 38 per cento dei votanti, hanno scelto di confermarlo al suo posto. Ma c’è stato un colpo di scena. Di domande la scheda ne conteneva due: se revocare Correia (la prima) e con chi rimpiazzarlo (la seconda). Per la corsa a sindaco erano in gara cinque candidati. E Correia era uno di questi. Per ripresentarsi nel bel mezzo di un recall (accusato, per giunta, di reati federali), ci vuole certo faccia tosta. Ma Correia aveva visto giusto. Infatti, nella competizione per la poltrona di sindaco ha ricevuto solo 4.808 voti, quasi lo stesso numero di voti che ha preso nel recall, ma gli altri quatto candidati si sono spartiti i voti rimanenti e il 38 per cento a favore è stato sufficiente a garantirgli l’elezione. Insomma, la stessa votazione che ha rimosso Correia con un margine di quasi due voti contro uno lo ha anche reinsediato nell’incarico.

 

Questo ci riporta alla Brexit. Buona parte delle incongruenze nelle votazioni di quest’anno su come e quando lasciare l’Unione europea si spiegano con il fatto che l’azione di governo inglese è il prodotto di due diverse elezioni che hanno partorito due risultati diversi. Come a Fall River. Il referendum del 2016, la prima di queste elezioni, che ha chiesto agli inglesi se il Regno Unito dovesse lasciare l’Unione europea, ha registrato una maggioranza risicata di elettori che ha scelto di divorziare e una fortissima minoranza che ha scelto di rimanere in Europa.

 

La seconda, le elezioni politiche del 2017, ha appannato quel mandato e approfondito le divisioni sul tipo di Brexit da raggiungere. I conservatori hanno perso diversi seggi indebolendo l’allora premier Theresa May. Il Labour ha guadagnato dei seggi ma non ha conquistato la maggioranza e non ha una posizione chiara sulla Brexit. Così i legislatori inglesi ritengono di avere, in base alle indicazioni degli elettori che si sono espressi nel referendum del 2016, il mandato di portare a compimento la Brexit, ma il voto del 2017 ha reso i conservatori troppo deboli e divisi per poterlo fare veramente, e guai si sono visti nelle votazioni in Parlamento. 

 

Dato che gli elettori, nelle elezioni politiche del 2017, non hanno espresso una chiara maggioranza a favore di nessun progetto concreto, i parlamentari inglesi non sono in grado di mettere insieme una chiara maggioranza per nessun progetto concreto. Il piano di Theresa May è stato bocciato con un margine enorme, è fallito anche il no deal, l’opzione prediletta dall’ala più intransigente, e non c’è una maggioranza in grado di far passare altre ipotesi, come quella di un nuovo referendum, o in grado, semplicemente, di revocare la Brexit.

 

Si sa che il modo nel quale si concepisce un’elezione può determinarne il risultato tanto quanto le scelte concrete degli elettori. E’ per questo che la prima parte del voto di Fall River si è tradotta nel chiaro messaggio popolare che Correia doveva andarsene e la seconda parte ha detto quasi altrettanto chiaramente che doveva restare. Fall River voleva porre agli elettori una domanda semplice: “Volete rimuovere Correia e, se è così, con chi vorreste rimpiazzarlo?”. Ma ne è uscita una domanda troppo complicata. Il risultato, il ritorno di Correia al suo incarico, ovviamente non riflette i desideri dell’opinione pubblica, poiché la maggioranza degli elettori ha votato per rimuoverlo.

 

La Gran Bretagna ha cercato una risposta a una domanda di gran lunga più complessa: “Volete lasciare l’Unione europea e, se è così, con quali scadenze e quali termini?”. Il referendum del 2016 ha raggruppato sotto un’unica bandiera, quella del leave, tutte le innumerevoli ipotesi, molto diverse tra loro, sulla Brexit (soft Brexit, hard Brexit, Brexit sul modello Norvegia, Brexit solo ad alcune condizioni, ecc.), con il risultato che l’opzione più popolare, quella di rimanere nell’Unione europea, ha perso di un soffio. Così come Correia ha perso il recall nonostante rimanga, come si è visto, il candidato più popolare. Le elezioni del 2017 sono state interpretate poi da entrambi i principali partiti come un’occasione per verificare se gli elettori fossero d’accordo con il piano di Theresa May di realizzare una soft Brexit e con la sua gestione dei negoziati. Ma il risultato ha detto che Theresa May non aveva il consenso che sperava di ottenere. Il fatto è che non c’è un consenso maggioritario per nessun tipo di Brexit; e l’opzione più popolare (che del resto i sondaggi confermano) è quella di rimanere nell’Unione europea. Tuttavia, come hanno osservato Max Fisher e Amanda Taub, per rispettare i risultati elettorali, “i legislatori cercano di attenersi a un mandato popolare che non esiste veramente, e poiché non esiste, il Parlamento non ha i voti necessari per realizzare nessun obiettivo concreto. Così il Parlamento è bloccato e, incapace di approvare una cosa qualsiasi, sta andando alla deriva verso una no deal Brexit, che è al tempo stesso la scelta meno popolare e quella che si prevede possa devastare l’economia britannica”. Il prezzo, per restare fedeli a un mito, quello dell’espressione perfetta e infallibile della volontà popolare, rischia di essere molto salato. I ribelli Tory lo hanno capito.

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