Di nuovo en marche
Il “secondo atto” di Macron ha dati economici più solidi e un vantaggio: il presidente impara in fretta
Milano. L’Europa che verrà è una gran vittoria per Emmanuel Macron, non soltanto perché i volti più visibili, chiacchierati e promettenti hanno a che fare con lui – e sono volti di donna: la presidente della commissione Ursula von der Leyen, la supercommissaria Margrethe Vestager, le due francesi, Christine Lagarde alla guida della Bce e Sylvie Goulard al Mercato interno, se sopravvive allo scandalo sulle spese del suo vecchio partito MoDem – ma anche perché i ritornelli più scanditi sembrano usciti dal manuale del macronismo (che s’ispira al merkelismo): più autonomia geopolitica dell’Europa, un’economia più solida e più verde, più integrazione, più attenzione alla difesa dei valori europeisti e liberali in tutta l’Unione. Nei fatti poi bisognerà vedere quanto c’è, in questa retorica, di concreto e fattibile, ma intanto lo stesso Macron si affaccia su questa nuova stagione con uno sguardo diverso rispetto al passato: quello dell’esperienza.
Macron è tornato, sostengono molti articoli della stampa internazionale, sottolineando come il presidente francese sia riuscito a sopravvivere alla rivolta dei gilet jaunes e alla presunzione nazionalista e anti liberale che ha dato Macron per morto migliaia di volte (abbiamo già visto tutto anche con Angela Merkel). Ma come ha fatto? Ci sono elementi esterni – come l’economia – e interni che hanno più a che fare con un cambiamento dei toni e della strategia stessa di Macron: è finita la fase della “disruption”, che non era andata nemmeno troppo bene come è naturale che sia in un mondo in cui c’è una sovrabbondanza di istinti e di leader distruttivi.
Il Financial Times ha riepilogato i dati strutturali di questo “secondo atto” della presidenza francese: la disoccupazione è al minimo rispetto agli ultimi dieci anni (8,5 per cento) e l’obiettivo del 7 per cento per il 2022 sembra oggi più raggiungibile.
L’economia francese cresce in modo costante, a differenza e nonostante il rallentamento tedesco, e la proiezione del pil per la fine dell’anno registra un aumento dell’1,3 per cento. Questo non significa che si debba gioire troppo: anche in risposta alla crisi dei gilet gialli, il governo di Parigi ha investito 25 miliardi di euro (l’1 per cento del pil) nell’economia e lo stimolo è destinato a impattare sul debito francese, tanto che secondo molti economisti il deficit supererà il 3 per cento del pil (il dibattito sulla flessibilità del Patto di stabilità è e sarà molto acceso). Macron ha anche deciso di rallentare su alcuni fronti: per esempio dei 120 mila posti di lavoro nel settore pubblico da tagliare nei prossimi tre anni – l’annuncio era stato fatto a marzo – ora ne restano 15 mila. Le riforme, soprattutto quella delle pensioni che punta ad aumentare l’età pensionabile, vanno avanti, ma con un ritmo più cauto, più sintonizzato con l’insofferenza cronica dei francesi nei confronti dei cambiamenti.
I retroscena sui giornali francesi dicono che la metamorfosi dell’approccio di Macron è avvenuta durante i grand débat, gli incontri con i cittadini che hanno inaugurato la strategia “dell’ascolto” in risposta alla piazza infuriata. I termini più radicali e brutali della retorica macroniana sono scomparsi, lasciando spazio a “responsabilità”, “rendere conto”, “fare le cose non soltanto per i francesi, ma con i francesi”, come se nell’assedio dei gilet jaunes Macron avesse deciso non tanto di fare concessioni dal punto di vista politico – come hanno fatto spesso i suoi predecessori – ma di spogliarsi dell’immagine respingente dell’uberpresidente jupitérien arrogante che non ascolta nessuno, nemmeno i suoi consiglieri figurarsi i francesi, e che va dritto per la sua “disruption”. Ma se al macronismo togli la determinazione sfacciata e aggressiva, che cosa resta?
Questa è la sfida di metà mandato di Macron, la trasformazione più rilevante della sua leadership: c’è chi dice che sta tornando il Macron-candidato del 2017, l’outsider che non ha nulla da perdere e si nutre dell’entusiasmo dei marcheurs. C’è chi sostiene invece che la cautela è una mezza resa, il prezzo alto da pagare per mezzo punto in più di popolarità. Ma tra le righe dei racconti spicca un dettaglio importante. “Il vantaggio di Macron è che impara molto in fretta e si rimette in piedi”, dice una fonte al Financial Times, e forse è questo il punto della nuova primavera di Macron, al di là del rinnovamento del team della comunicazione dell’Eliseo e dell’inevitabile spin: il presidente giovane è cresciuto, non balla più soltanto da solo, studia il tempo del “tous ensemble”.
Cosa c'è in gioco