In America la disoccupazione è minima ma i sindacati crescono. Il caso General Motors
Aumenta il numero di scioperi e i sindacati sono sempre più popolari, anche se non sono riusciti ad arginare gli esiti della grande recessione
Roma. Ieri 50 mila operai della casa automobilistica americana General Motors hanno partecipato a uno sciopero dopo che sono saltati i negoziati tra il sindacato United Automobile Workers e l’azienda per il rinnovo dei contratti. Il sindacato chiede un aumento dei salari, la riattivazione degli impianti inattivi e la riduzione della forbice tra la retribuzione dei lavoratori più anziani e i nuovi assunti. Era dal 2007 che i lavoratori della General Motors non scioperavano. La movimentazione del 16 settembre arriva a due settimane dai festeggiamenti per la giornata nazionale del lavoratore – Labor Day –, in un momento particolarmente vivace per la società americana: se da un lato le primarie democratiche stanno consolidando la popolarità di candidati radicali come Elizabeth Warren e Bernie Sanders, dall’altro cresce il numero degli scioperi – il numero di persone che ha partecipato a scioperi che hanno coinvolto più di 1.000 lavoratori è al livello degli anni 80 –, e la popolarità dei sindacati è in costante crescita. Un sondaggio Gallup pubblicato a fine agosto indicava che l’indice di approvazione per i sindacati negli Stati Uniti è attualmente uno dei più alti degli ultimi cinquant’anni: il 64 per cento degli americani approva l’operato dei sindacati. La soglia dei 60 punti percentuali è stata superata per il terzo anno consecutivo. Ma come mai in un paese dove la disoccupazione è ai minimi storici i lavoratori si affidano sempre di più ai sindacati? “Il picco di approvazioni va ricercato nella qualità attuale del mercato del lavoro. E’ vero che il tasso di occupazione è molto alto e c’è lavoro quasi per tutti. Ma nella realtà le persone lavorano meno ore al giorno. C’è più lavoro, ma molti lavori sono temporanei, precari, senza benefici e poco retribuiti. A causa dell’inflazione i salari non crescono da 7 anni”, dice al Foglio Gonzalo Salvador, portavoce dell’American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations (Afl-Cio), una federazione che riunisce 55 sindacati americani – e di qualche altro paese – e rappresenta 12,5 milioni di lavoratori.
Eppure l’approvazione per i sindacati è iniziata a crescere soltanto quando l’economia si è ripresa. I sindacati non sono riusciti ad arginare gli esiti della grande recessione. “Con la crisi la classe media, o quello che ne rimaneva, ha iniziato ad avvicinarsi ai sindacati. Questo è un fenomeno storico estremamente importante”, spiega Salvador. Oltre che la crisi, forse i sindacati dovrebbero ringraziare il clima di ostilità nei confronti delle aziende e delle amministrazioni pubbliche fomentato da certe classi di lavoratori. Ad esempio, i sindacati hanno avuto la capacità di incrementare i propri consensi seducendo i media in occasione degli scioperi degli insegnanti che hanno travolto gli Stati Uniti nel 2018. “Gli insegnati non avevano altro modo, se non scioperando, di aumentare lo stipendio. Così hanno mostrato all’America che avere alle spalle un sindacato è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi”, dice il portavoce dell’Afl-Cio.
Infine la politica ha contribuito alla crescente popolarità dei sindacati grazie sia all’opposizione di Donald Trump – manifestata recentemente con un tweet polemico in occasione del Labor Day –, sia al sostegno di alcuni candidati democratici alle primarie.
L’attenzione del liberal ora è tutta per la proposta di legge per facilitare l’aggregazione dei lavoratori sul luogo di lavoro (Pro) sostenuta, tra gli altri, dai senatori Kamala Harris, Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Secondo Salvador, “visto l’interesse di parte del mondo politico è probabile che in futuro avremo un’agenda presidenziale più vicina ai lavoratori e alle loro organizzazioni”. Se ciò andrà a favore di una classe politica radicale vicina al mondo dei sindacati, più che dei lavoratori, sarà tutto da vedere.