Neutrale sulla Brexit. Corbyn tira un altro macigno sugli elettori europeisti
Il leader del Labour aspira a fare prima le elezioni e poi un referendum sul quale non si vuole schierare. La riunione di famiglia a Brighton
Milano. Il Labour britannico si riunisce a Brighton per la conferenza annuale e, indovinate un po’?, si prepara a “una resa dei conti sulla Brexit”, scrive il Financial Times. Un’altra. È la quarta riunione di partito dal referendum del 2016, e il principale partito d’opposizione del Regno Unito è ancora alla resa dei conti interna, cioè non ha una posizione chiara e unanime su una questione decisiva com’è questo tormentato divorzio dall’Unione europea.
Direte: è il paese che è spaccato, il Labour (come anche i Tory) è una rappresentazione dell’elettorato e quindi non può che essere diviso a metà. Ma non eleggiamo dei rappresentanti e dei leader apposta perché risolvano le fratture che gli elettori non riescono a ricomporre? Non è a questo che serve la politica? Certo, la Brexit è un affare molto complicato, la distanza tra quel che si vorrebbe e quel che si può effettivamente ottenere è enorme, i dettagli sono più che diabolici – basta seguire il dibattito alla Corte Suprema sulla legittimità della sospensione dei lavori parlamentari voluta dal governo Johnson, in questi giorni in diretta tv: un viaggio dentro il cuore democratico del Regno e del concetto stesso di sovranità – ma viviamo in questo bagno (uno stagno più che altro) di realtà da più di tre anni, e un’idea del fattibile, del possibile e del desiderato dovrebbe avercela, il Labour.
Tanto più che il governo conservatore, essendo in prima linea, ha subìto le perdite maggiori, in termini di credibilità e, più concretamente, di maggioranza parlamentare. Invece no. Ieri Jeremy Corbyn, leader del Labour, ha scritto sul Guardian un articolo per spiegare – per la centesima volta, a dimostrazione di quanto è cristallino nelle sue enunciazioni – la sua posizione sulla Brexit, che è questa: il “no deal” deve essere escluso, quindi va applicata la legge approvata in Parlamento all’inizio del mese; devono essere indette nuove elezioni, che il Labour vincerà; da primo ministro, Corbyn negozierà una “soft Brexit” con l’Ue; l’accordo negoziato sarà votato dal popolo in un secondo referendum in cui ci saranno due scelte: l’accordo Corbyn e il remain; Corbyn resterà neutrale, il popolo sceglierà e lui applicherà la volontà popolare. Proprio così: nel titolo del Guardian c’era la parola “neutrale”. Dopo tre anni e più di rivolgimenti sulla Brexit, il leader del Labour resta neutrale.
Di cosa vi scandalizzate?, hanno detto alcuni, anche Harold Wilson, al referendum europeo del 1975, era rimasto neutrale perché il suo Labour allora era altrettanto spaccato, e il dovere di un leader è di tenere insieme il partito, custodire la sua unità. Ebbene, l’allora premier Wilson non era neutrale, scrisse una lettera che fu spedita a tutti gli elettori – con la sua foto – in cui spiegava perché la scelta migliore per il Regno fosse quella di restare in Europa, diceva “parlatene in famiglia”, lo ripeteva due volte, “la scelta è vostra”, non sprecatela. Di neutralità insomma non ce n’era, e soprattutto non c’erano anni alle spalle a discutere in modo quasi esclusivo delle conseguenze dell’uscita dall’Europa.
Riferimenti storici a parte, la neutralità di Corbyn è caduta come un macigno nel mondo anti Brexit. Il leader del Labour gallese, Mark Drakeford, ha detto che lui farà campagna per il “remain” in caso di referendum (ha il dente avvelenato perché il comitato di direzione del partito, il potente Nec, gli ha appena tolto la facoltà di selezionare i candidati in Galles); la “premier” scozzese Nicola Sturgeon, ha detto che la neutralità è “una vergognosa abdicazione della leadership”; i parlamentari a favore del “remain” preparano tutte le mozioni da votare alla conferenza sperando di poter trascinare fuori Corbyn dalla sua conclamata ambiguità, mentre i corbynologi seguono le reazioni dei big del partito, soprattutto del vice Tom Watson e del cancelliere dello Scacchiere ombra John McDonnell, che più si sono spesi, senza essere alleati, per una politica chiara del Labour a favore del remain. C’è ancora un altro fronte in questa resa dei conti, e riguarda non tanto la neutralità quanto il fatto che il referendum sia subordinato alle elezioni generali: buona parte del mondo anti Brexit sostiene che il secondo referendum sia non soltanto necessario ma anche molto urgente, perché potrebbe fare chiarezza sull’unico fattore davvero importante – cari inglesi, ma la volete ancora, questa Brexit? – e perché non è affatto detto che il Labour poi riesca a vincerle, queste sospiratissime elezioni.
L’errore strategico, per gli anti Brexit tendenza People’s Vote, sta non tanto nella neutralità (che davano per scontata: non c’è mai stato nulla, nell’approccio di Corbyn alla Brexit, che abbia fatto pensare che lui fosse contrario all’uscita) quanto nel sostenere prima di tutto le elezioni, che non darebbero una risposta sulla Brexit, semmai soltanto e nel migliore dei casi sulla questione del potere del paese e interno al Labour. Ma questa è la priorità di Corbyn, e infatti alla vigilia della gita familiare a Brighton, ha messo a punto un’altra epurazione, togliendo l’affiliazione al partito ai Labour Students, la sezione studentesca, che ha sempre avuto un ruolo importante nell’organizzazione degli eventi e nella mobilitazione ma che è considerata troppo moderata (o addirittura di destra) dagli alleati di Corbyn. Molti parlamentari ieri hanno ricordato di essere stati eletti grazie al sostegno degli Students, ma ormai era tardi, la decisione era stata presa da quell’apparato dominato dai corbynisti che non conosce la moderazione su nulla e non si tira indietro quando c’è da rifilare neutralità al disorientato popolo inglese.
Dalle piazze ai palazzi