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Il dilemma verde dell'Austria al voto
Gli alberi elettorali, le note europee di Ursula von der Leyen e consigli per una fuga
L’Austria va al voto domenica è ha un problema con gli alberi. Per la precisione: con 299 alberi. Nello stadio Wörthersee di Klagenfurt, in Carinzia, dall’8 settembre c’è un’installazione che si chiama “For Forest”, 299 alberi, di cui alcuni alti 15 metri, trasportati dal Belgio, dall’Italia e dalla Germania: un giorno, la vista degli alberi sarà uno spettacolo raro e speciale, come andare a vedere una partita o guardare gli animali allo zoo, ha detto al New York Times il curatore, Klaus Littmann (la squadra di calcio della città deve andare a giocare nello stadio di Graz, a un’ora e mezzo di auto, per la gioia dei tifosi). Dal giorno dell’inaugurazione, ci sono proteste fuori dallo stadio per lo più animate dall’Fpö, il partito guidato da Heinz-Christian Strache, che era al governo con la destra del cancelliere Sebastian Kurz e che è rimasto coinvolto nello scandalo “Ibizagate” (un video in cui Strache faceva promesse a interlocutori russi) che ha portato alla sfiducia dell’intero esecutivo e al voto anticipato. La Carinzia è un bastione dell’Fpö e quegli alberi importati da altri paesi sono considerati un obbrobrio ambientalista e ideologico: questa regione del sud dell’Austria è ricoperta al 60 per cento da alberi.
Così da giorni non si fa che discutere dell’impatto ambientale di questa installazione, della contraddizione tra il messaggio di “For Forest” e le 55 tonnellate di diossido di carbonio rilasciate nell’aria durante il trasporto (pari a 25 viaggi tra New York e Vienna). L’obiettivo finale non è certo questo bosco nello stadio, ma la prossima coalizione di governo, che non ha tanto a che fare con la salvezza del pianeta quanto con il risultato che farà il partito dei Verdi, che sogna un exploit in linea con i colleghi tedeschi e francesi: nel 2017 i Grünen non riuscirono a entrare in Parlamento perché non superarono la soglia del 4 per cento: ora sono nei sondaggi all’11-13 per cento, e sono diventati contendibili per un’eventuale alleanza. O almeno così vorrebbero loro, anche se il risultato oggi più plausibile è esattamente quello che era stato travolto dal video di Ibiza, in cui Strache offriva contratti a una non meglio identificata emissaria russa: l’Fpö infatti è attorno al 20 per cento dei consensi, meno del 2017 ma comunque più o meno alla pari con la sinistra. Kurz, dato come vincitore, aveva inizialmente escluso un’altra alleanza con l’Fpö, ma poi è stato sempre meno categorico. Tom Nuttall, capo dell’ufficio di Berlino dell’Economist, ci dice: “La possibilità della continuazione della stessa alleanza è una possibilità, ma le alternative non sono da escludere, in particolare il fatto che Kurz tenti un dialogo con i Verdi e con i liberali”, che ora sono al 9 per cento, quasi il doppio rispetto al 2017. Quindi: per evitare un governo identico a quello precedente, si piantano alberi.
Le voci di Ursula. Difficile che qualcuno riesca a superare Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo che sui social trolla, elogia e spiega. I suoi vezzi europeisti sono riconoscibilissimi, lunedì ad esempio ha tuittato una foto che lo ritrae di spalle mentre scruta l’orizzonte assieme a Leo Varadkar, primo ministro irlandese, e la scritta: “Continuiamo a cercare come evitare una Brexit disordinata”. Anche Ursula von der Leyen ha voluto dei comunicatori vivaci e come portavoce ha scelto un convintissimo europeista, francese, macroniano, che tuitta in inglese dall’account “Eric Mamer” (il suo nome) e in francese dall’account “Parler d’Europe pour parler de France”, trolla gli euroscettici, con una particolare predilezione per Nigel Farage. Mamer parla un buon tedesco, è un funzionario europeo di alto livello che in questi anni è stato a capo della direzione generale per Mercato interno, Industria, Imprenditoria e Pmi. La sua vice non poteva che essere una donna e non poteva che venire dalla parte orientale dell’Unione – la von der Leyen ci tiene in modo particolare alla parità di genere e geografica – si chiama Dana Spinant, è romena ed ex giornalista, ma finora impegnata nelle istituzioni europee come capo della direzione generale per le Politiche regionali. La nuova presidente della Commissione si è rivelata molto attenta all’immagine e soprattutto alla cura della freschezza linguistica della sua nuova Commissione e ha aggiunto una nuova figura alla sua squadra che si occuperà di comunicazione: Jens Flosdorff, consigliere per la comunicazione esecutiva. Una traduzione di questa nuova carica la dà Florian Eder di Politico: all the fun, no daily midday briefing.
Un soggiorno di prova. Görlitz è una città istrionica, non per nulla è detta Görliwood, è la piccola e pittoresca Hollywood mitteleuropea in cui Wes Anderson ha girato “Gran Budapest Hotel” e Tarantino “Bastardi senza gloria”. Questa primavera Görlitz, nella Germania orientale, stava per diventare la prima città a eleggere un sindaco dell’AfD, ma la mobilitazione è stata così forte che i cittadini si sono convinti che fosse proprio quella vena istrionica che l’AfD aveva promesso di cancellare a renderli ricchi. Scampato il pericolo dell’ultradestra, la nuova amministrazione deve pensare a ripopolare Görlitz, che dal 1989 ha perso il 25 per cento dei suoi abitanti, meglio non insistere troppo sul tema immigrazione, che l’AfD è dietro l’angolo, meglio sfruttare la bellezza e l’unicità della città, ha pensato il sindaco della Cdu, Octavian Ursu, che ha deciso di offrire un mese di soggiorno omaggio nella città. Vieni, prova e se ti piace resta. La scommessa è piaciuta, l’invito anche, la bizzarria ancora di più e Görlitz si sta riempiendo di artisti e soprattutto di giovani coppie. Se non ci trovate più qui, provate a cercarci a Görliwood, tra una guglia e un ciak.
Cosa c'è in gioco