Jacques Chirac (1932-2019)
È stato presidente della Repubblica francese dal 1995 al 2007. La collaborazione con Pompidou, la coabitazione con Mitterand, il cordone sanitario contro il Front National, l'opposizione alla guerra in Iraq, infine la malattia
Parigi. Presidente della Repubblica, primo ministro, ministro dell’Interno, segretario di stato all’Economia, sindaco di Parigi, Jacques Chirac è stato la storia della Quinta Repubblica francese, un politico hors normes che ha ricoperto tutte le più alte cariche della République lungo una carriera di più di quarant’anni. È morto, Chirac, nella sua casa parigina doveva viveva assieme alla moglie, Bernadette, onnipresente in questi anni difficili, dopo quell’ictus del 2005 che lo costrinse a diversi ricoveri in ospedale anche quando era all’Eliseo, e il duro colpo del 2011, quando il suo stato di salute si degradò fortemente. “Colui che ci eravamo abituati a veder camminare a grandi passi, a veder divorare la vita e guidare gli uomini, era ritirato nella sua solitudine e nella sua malattia, come un vecchio leone ferito”, ha scritto il Figaro.
"Je vous demande de bien vouloir observer une minute de silence en hommage à la mémoire de Jacques Chirac"@RichardFerrand et les députés interrompent quelques minutes leurs travaux sur la bioéthique en hommage à l'ancien président de la République, mort ce matin#DirectAN pic.twitter.com/UrYOGXIT64
— LCP (@LCP) September 26, 2019
Tenace, carismatico, combattente infaticabile, Chirac ha conosciuto da vicino ogni aspetto della vita politica: ha dominato la destra francese, ha combattuto senza sosta contro la sinistra, e spesso anche contro il suo schieramento, ha conquistato il potere, poi l’ha perso, e infine l’ha ritrovato, spesso forzando un destino che sembrava contrario. Nato a Parigi da genitori originari del Corrèze, cresce da figlio unico dopo la morte della sorella. Frequenta il prestigioso Lycée Louis-le-Grand, poi entra a Sciences Po, e prima di andare a Harvard a studiare, nel 1952, milita a Parigi nel Partito comunista e fa lo strillone vendendo L’Humanité. Fa l’Ena, ma la leva obbligatoria lo costringe ad abbandonare la superscuola delle élite per l’Algeria, dove c’è la guerra. Di ritorno a Parigi, finisce i suoi studi e si avvicina al gollismo.
Lo soprannominano “bulldozer” per il suo attivismo, quando entra nel governo di Georges Pompidou come segretario di stato con delega al Lavoro. Nel caldo ’68, gioca un ruolo centrale per la firma degli accordi di Grenelle, che mettono fine allo sciopero generalizzato. Di Pompidou, sarà un fedelissimo. Sotto la sua ala protettrice, moltiplica la sua esperienza ministeriale: Economia, Relazioni con il Parlamento, Agricoltura, Interno. “Se gli avessi chiesto di costruire nella notte un tunnel tra casa mia e l’Eliseo, lo avrebbe fatto”, disse di lui Pompidou. Con la morte del suo mentore, nel 1974, Chirac assume un ruolo decisivo nella vittoria della destra liberale di Valéry Giscard d’Estaing, voltando le spalle al candidato ufficiale del partito gollista Jacques Chaban-Delmas. Vge lo ripaga offrendogli Matignon, ma il ruolo di primo ministro gli sta stretto. Sbatte la porta nel 1976 per forti dissensi con il capo dello stato, conduce una guerra spietata contro Vge e il suo nuovo premier Raymond Barre, e il 5 dicembre riorganizza le forze golliste fondando il Raggruppamento per la Repubblica (Rpr), di cui sarà presidente fino al 1994.
Il 25 marzo 1977 diventa sindaco di Parigi contro il giscardiano Michel d’Ornano. L’Hôtel de Ville sarà il trampolino elettorale che lo lancerà verso le più alte cariche della République. Forte della sua popolarità nella capitale, fa campagna elettorale contro Vge, si candida alle presidenziali del 1981 ritagliandosi l’immagine di conquistatore sempre in movimento, arriva terzo con il 18 per cento, e fa vincere Mitterrand. Per la destra è il “secondo tradimento” (il primo, fu quando sostenne Vge contro Chaban-Delmas).
Aujourd'hui, l'Europe perd une de ses figures de proue, la France un grand homme d'État et moi un ami fidèle. Jacques #Chirac était un homme de fortes convictions, celles des valeurs humanistes de fraternité, de respect de la tolérance.https://t.co/HcdpxsRHa9
— Jean-Claude Juncker (@JunckerEU) September 26, 2019
Alle legislative del 1986 ottiene la maggioranza assoluta grazie all’alleanza Rpr-Udf, e viene nominato primo ministro da Mitterrand: è la prima coabitazione destra-sinistra della Quinta Repubblica. Ma la coabitazione è difficile, troppo difficile. Nel 1988, si ricandida alle presidenziali contro Mitterrand: perde ancora, ma lo stesso anno si fa rieleggere a Parigi. Nel 1993, grazie a un’altra vittoria alle legislative, riesce a imporre il Edouard Balladur, a lui fedele, a Matignon. Nel 1995, finalmente, riesce a farsi eleggere presidente della Repubblica.
Due anni dopo, per tentare di salvare il suo primo ministro Alain Juppé (il “migliore tra noi” lo aveva definito) dallo sciopero generalizzato contro la riforma che stava bloccando la Francia, dissolve l’Assemblea nazionale. “Fu il punto nero del suo settenato”, ricorda il Figaro. Inizia la coabitazione con la gauche plurielle di Lionel Jospin. Nel 2002, nonostante gli affari e le divisioni della destra, si fa rieleggere all’Eliseo contro Jean-Marie Le Pen, grazie al cordone sanitario repubblicano droite-gauche. Lo stesso anno fonda l’Ump, con l’ambizione di “farne un gran partito moderno e popolare, capace di dibattere e di proporre, capace di sostenere un candidato alle presidenziali e, in caso di elezione, di aiutarlo nella sua azione”. Tocca il picco di popolarità in Francia quando si oppone alla guerra in Iraq promossa dal presidente americano George Bush.
Grande amante dell’arte africana e del dialogo tra le culture, lancia il Musée des arts premiers du quai Branly. L’11 marzo 2007 annuncia la sua uscita dalla scena politica, rinunciando a presentarsi per un terzo mandato: “Con lo stesso entusiasmo e la stessa passione, continuerò a portare avanti le nostre battaglie, le battaglie di tutta la mia vita, per la giustizia, per il progresso, per la pace e per la grandeur della Francia”.
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