La lotta di Greta alla CO2 sta causando i primi danni alle compagnie aeree
In Svezia il movimento "flight shame" ha fatto diminuire del 2 per cento i voli della svedese Sas Ab, mentre le aziende europee preferiscono i viaggi in treno per i propri dipendenti. Definizione di un paradosso culturale
Sull'onda dell'entusiasmo che ha accompagnato l'espansione del movimento mondiale ispirato dalla giovane attivista svedese contro il cambiamento climatico, Greta Thunberg, in molti hanno iniziato a criticare i voli in aereo. Sono troppe le emissioni di anidride carbonica disperse nell'aria a ogni viaggio, dicono i giovani dei Fridays for future. Così si è sviluppato un movimento parallelo, quello della "vergogna per i viaggi aerei" (in svedese si chiama "flygskam", in inglese "flight shame"), a cui sono preferiti quelli in treno e in bus. In Svezia, dove la mamma di Greta, Malena Ernman (che è una cantante), è uno dei membri più in vista del movimento, gli effetti della propaganda contro i voli ora si stanno ripercuotendo sulle compagnie aeree. Bloomberg riporta che il traffico aereo del gruppo svedese Sas Ab è diminuito del 2 per cento in nove mesi, mentre il gestore aeroportuale svedese quest'anno ha gestito il 9 per cento in meno di passeggeri per i voli nazionali rispetto allo scorso anno. Entrambi hanno dichiarato che il flygskam ha contribuito al declino.
L'influenza del movimento sull'opinione pubblica, di mese in mese, si sta radicando in tutta Europa. In Francia un gruppo di avvocati vorrebbe bloccare la maggior parte dei voli interni, mentre la ferrovia di stato austriaca ha appena ordinato tredici nuovi treni notturni visto l'aumento dei viaggi su rotaia a causa delle preoccupazioni ambientali. In Germania anche la politica ha preso a cuore la questione. Il paese, scrive ancora Bloomberg, vuole abbassare le tasse sui viaggi in treno di quasi due terzi, aumentare le imposte sui voli e fissare un costo minimo per le tariffe aeree. In Italia il movimento non è ancora maturo, ma trova l'appoggio di uno dei divulgatori scientifici più popolari della penisola, Luca Mercalli, che invita a "non volare per futili motivi", per ridurre le emissioni CO2: "Molte volte, nelle scuole, ho spiegato l’importanza di usare meno possibile l’aereo, in particolare mi riferisco ai voli low cost, che ci portano per pochissimi giorni in luoghi lontani, facendo esperienze, ammettiamolo, piuttosto superficiali", ha detto il meteorologo.
Fino a quando l'astensione dai voli è praticata da qualche giovane idealista, i danni per le compagnie aeree restano limitati. La questione si fa più complessa se anche le grandi aziende decidono di abolire le trasferte di lavoro. Fare viaggiare i dipendenti su mezzi alternativi sta diventando una moda, anche alla luce del valore, sempre più marcato, che le aziende danno alla responsabilità sociale d'impresa. Anche in questo caso, il nord Europa detta la linea. Il gruppo di servizi finanziari finlandese Nordea Bank Oyj punta a tagliare i voli del 7 per cento quest'anno e pianifica tasse interne sul carbonio per raggiungere questo obiettivo. L'emittente tedesca Tele5 a giugno ha dichiarato che non pagherà più i voli nazionali per i suoi 60 dipendenti. Infine, la società di consulenza PwC e la Zurich Insurance Group AG svizzera hanno dichiarato di volere ridurre le emissioni di carbonio per dipendente di un terzo o più rispetto ai livelli del 2007, anche riducendo i voli.
Il movimento che si batte per diminuire al minimo i viaggi aerei va incontro a un dilemma culturale. Le classi medie erudite dei paesi più sviluppati, fino a qualche anno fa, si caratterizzavano per il loro cosmopolitismo. Viaggiare molto e lontano, stringere contatti con abitanti di paesi differenti da quello natio era considerata una qualità invidiabile e positiva. Ora invece il cosmopolitismo "è minato dalla minaccia del riscaldamento climatico e dall’idea che se scoprire il mondo porta alla sua distruzione, allora tanto vale non scoprirlo. Ma così facendo le classi medie erudite si privano delle caratteristiche che le hanno rese tali, e che forse sono collegate le une alle altre", ha scritto a inizio giugno sul Foglio Eugenio Cau. Il paradosso è che certi valori di solidarietà e ambientalismo si sono sviluppati proprio in quell'humus culturale cosmopolita. "I valori di apertura e solidarietà ed empatia che sono tipici proprio delle persone più sensibili all’ambiente sono ancora possibili quando si decide di 'stare a casa'?". Il cortocircuito logico certo non sminuisce il tema del cambiamento climatico, che è delicato e merita attenzione. Ma non bisogna dimenticare che ogni scelta porta a delle conseguenze, anche sul piano culturale. Insomma, "dobbiamo anche essere consapevoli di cosa rischiamo di perdere mentre stiamo a casa in attesa che gli aeroplani comincino ad andare a idrogeno".