"L'Europa non è un bancomat"
Il ministro Amendola ci racconta come si costruisce un’Italia “credibile e virtuosa” in Europa ora che abbiamo capito che “non esiste una Spectre europea che ci vuole male”. L’Ue è “un’assicurazione” (mostrate bene il tagliandino) e “la solidarietà conviene”
L’Italia “credibile e virtuosa” in Europa è un progetto che Enzo Amendola, ministro per gli Affari europei, ha ben chiaro in mente. “La credibilità si costruisce su tre pilastri – dice al Foglio il ministro – Dire la verità sia a Roma sia a Bruxelles; presentarsi con proposte chiare ai tavoli di negoziato; presentarsi ai tavoli”. La credibilità non ha la voce grossa, insomma, va alle riunioni europee e non dice bugie – “verità” è un termine che tornerà spesso in questa conversazione, non necessariamente come retorica. Virtuosi si diventa, continua Amendola delineando il suo progetto, evitando intanto di alimentare gli scontri con l’Unione europea “per poi ritrovarsi con rischi di procedure di infrazione”, che non sono il frutto di un complotto di Bruxelles ai danni dell’Italia – “non esiste una Spectre europea che ci vuole male” – ma dell’assenza di “solidità e di responsabilità”: “Ci sono molti dossier su cui dobbiamo lavorare, dal bilancio europeo per i prossimi sette anni alla politica migratoria, dobbiamo fare proposte chiare e avere obiettivi chiari, avendo bene a mente che in Europa ci sono ventisette, o chissà ventotto, paesi che difendono il loro interesse nazionale, ma non c’è un interesse nazionale più interesse degli altri”. Le parole brutali di battaglia e di rivendicazione sono uscite dal vocabolario del governo italiano, che vuole ricostruire il proprio rapporto con i partner e le istituzioni europee “con molto pragmatismo”, avendo a cuore le proprie priorità, ma senza svilire il progetto che ci tiene insieme: “L’Europa è una comunità di intenti e di destini – dice Amendola – e non ho paura di sembrare retorico, perché questo senso di comunità è quel che ci tiene insieme: l’Europa non è un bancomat, semmai è una polizza assicurativa, ancor più rilevante se alziamo lo sguardo e vediamo gli squilibri e la competizione che ci sono fuori dai nostri confini. L’Europa è un’assicurazione, e quando andiamo in giro per il mondo ci conviene tenerlo ben esposto, il tagliandino della polizza”.
Amendola è convinto che un’Italia credibile e virtuosa sia un’Italia europeista, e ribadisce che anche questa nuova fase istituzionale europea – il nuovo Parlamento, la nuova Commissione – siano il frutto di una battaglia vinta degli europeisti: “Non dobbiamo pensare che il pericolo sia scampato”, dice, pure se i sovranismi che avrebbero dovuto sovvertire il costrutto europeo “stanno arretrando, lo abbiamo visto in Danimarca e ancor più in questi giorni in Austria”. Il pericolo non è finito, il business as usual in cui gli europei hanno la tendenza a rintanarsi non deve prevalere, “dobbiamo continuare il processo di integrazione, accelerarlo e farlo diventare concreto”, gli intenti e i destini sono ormai incrociati, rendiamoli anche vantaggiosi. “Integrazione” è una parola che fa saltare i nervi a molti politici, a quelli inglesi poi, fa saltare anche il buon senso. Ci tocca la domanda impossibile (saremo brevi, lo è anche Amendola): come va a finire la Brexit? Il ministro sorride, “la nostra linea è quella del capo negoziatore Michel Barnier e del presidente Jean-Claude Juncker: fino all’ultimo minuto dell’ultima ora di negoziato, cercheremo di ottenere una Brexit ordinata”. Ma ce la faranno? Chissà. Maneggiare gli inglesi è diventato un affare complicato e sfinente, ma le ragioni di questo strappo, di questo divorzio, si riverberano ancora oggi sulla nostra politica corrente, al netto della Brexit: take back control, per esempio. Alcuni paesi europei – a est – e i partiti nazionalisti accusano l’Italia di non avere il controllo dei confini e di non volerselo riprendere: è arrivato questo nuovo governo – dicono – e gli-sbarchi-sono-aumentati. “Finché c’è stato Matteo Salvini al governo – dice Amendola – abbiamo trattato un problema strutturale come un’emergenza. Ma sa di che cosa si è occupato l’ex ministro durante il suo mandato? Del nove per cento degli arrivi, il nove per cento, quello gestito dalle ong. In un clima emergenziale continuo, non soltanto non abbiamo fatto passi avanti nella costruzione di una politica comunitaria, ma ci siamo occupati di una piccolissima parte del fenomeno”. Gli sbarchi sono aumentati, se si guarda “dentro ai numeri”, come dice Amendola, si vede che sono cresciuti gli arrivi dalla Tunisia, “dove la situazione politica è in trasformazione”, ma “con la Tunisia ci sono degli accordi dai tempi di Maroni e abbiamo tutti gli strumenti per gestire questo flusso”, che comunque è nel suo complesso in calo rispetto al passato. “Ma anche in questo caso non dobbiamo pensare che il pericolo sia scampato – dice Amendola – L’immigrazione è un fenomeno strutturale e globale: oggi la rotta del Mediterraneo è quella più problematica, ma trent’anni fa l’immigrazione arrivava dall’est e tra vent’anni chissà se non sarà ancora diversa la geografia dei flussi. Per questo io ho un approccio molto pragmatico con i miei partner europei: ho in programma visite ai colleghi dei paesi Visegrád, voglio togliere di mezzo l’ideologia nei colloqui con loro, e avere discussioni pragmatiche”. Auguri, viene da dire, ma Amendola tiene a mente questa sua idea di un’Europa che è una polizza assicurativa e dice, senza il timore di “sembrare troppo cinico”: “La solidarietà europea conviene”.
I confini sicuri sono una priorità per tutti i paesi, così come “introdurre dei meccanismi automatici” che permettano di trattare la questione migratoria senza un approccio emergenziale. “La solidarietà europea conviene, è una garanzia per tutti, che si parli di immigrazione o di economia”, dice il ministro. Non c’è un interesse nazionale più interesse degli altri e non c’è una solidarietà che avvantaggia qualcuno penalizzando altri: nel progetto europeo tutto si tiene, perché al di là delle ideologie, ci sono calcoli che convengono a tutti. Nell’accoglienza, nei rimpatri, nelle percentuali che mettiamo nelle nostre manovre economiche. E questa convenienza rende forte l’Europa, che deve affrontare un grande processo di trasformazione strategica per poter affrontare anche e soprattutto quel che sta fuori dai suoi confini: il mondo. Amendola crede che, una volta che la commissione di Ursula von der Leyen si sarà insediata (la preoccupano queste audizioni così nervose? “No”), le famiglie europee si dovranno rifondare e riformulare, oltre “la struttura attuale che non rispecchia più i cambiamenti che ci sono stati”: è quindi a favore di un “allargamento” del Pse, il partito social-democratico, ad altre forze, europeiste s’intende. Quanto alle altre nazioni, l’America – con le visite (ex) segrete di ministri americani e una contropartita invero scarsa, sul commercio e ancor più su una questione a noi tanto cara com’è la Libia – la Russia, la Cina, il ministro recupera il concetto di “verità”: “Agli amici bisogna anche dire la verità. Siamo solidamente europei e transatlantici, ma io mi considero, guardando alle sentenze sui dazi, un orfano del fu Ttip, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, perché penso che il nostro obiettivo non sia quello di rimanere schiacciati dalle dinamiche, commerciali e non, dell’America con la Cina, ma di lavorare per aumentare le capacità e le opportunità di scambio nel blocco occidentale”. Meno dazi e più commercio: Donald Trump non è d’accordo evidentemente, ma quella è la dimensione in cui si dovrebbe collocare il dialogo, secondo Amendola, tra l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti. Lo stesso approccio vale con le altre potenze, la Russia e la Cina, su cui però Amendola non entra nel dettaglio: c’è un ministro competente, “i capisaldi” della nostra strategia geopolitica sono “alla luce del sole”, sia con la Russia – c’è l’accordo di Minsk sull’Ucraina da finalizzare, prima di affrontare la questione delle sanzioni – sia con la Cina.
Dopo questo breve viaggio fuori dai confini europei, torniamo qui, nell’Italia credibile e virtuosa in Europa. Amendola è convinto che con le proposte chiare si possa guidare la trasformazione europea, ammette che “Emma Bonino aveva ragione quando chiedeva un commissario europeo per il Mediterraneo: ci vorrebbe un meccanismo istituzionale stabile” per gestire le tante crisi che ci sono dall’altra parte del Nostro mare. E dello stile di vita europeo cosa ne pensa? “Credo che la richiesta di definire in modo preciso il portafoglio del commissario alla Protezione dello stile di vita europeo sia giusta e che la presidente von der Leyen l’accoglierà”. Ma cosa sarà mai questa european way of life? “Civiltà del diritto, welfare e inclusione sociale”, dice il ministro Amendola, senza nemmeno doverci pensare.