Israele è in stallo e dentro al Likud c'è chi dice “sono pronto” a sfidare Bibi
Gideon Sa’ar si è messo a disposizione, ma le regole le fa sempre Netanyahu. Che non è ancora riuscito a formare una coalizione per governare e, adesso, frena sulle primarie
Roma. “Io sono pronto”, ha scritto giovedì su Twitter Gideon Sa’ar, esponente del Likud. Pronto a sfidare Benjamin Netanyahu, pronto a prendersi il Likud, pronto, forse, anche a formare un governo. Incautamente il premier israeliano aveva lanciato l’idea di fare delle primarie in gran velocità e dare, per la prima volta in cinque anni, la possibilità agli altri centotrentamila membri del partito di scegliere il proprio leader. Sa’ar potrebbe essere uno sfidante valido e di tentare l’impresa sembra anche avere molta voglia – quel “sono pronto” è arrivato come un fulmine, determinato, deciso, ad aggiungere nuove perplessità tra le pieghe della politica israeliana – ma Netanyahu, consigliato da Haim Katz, avrebbe cambiato idea: sì alle primarie, ma senza fretta, meglio organizzarle tra un anno.
La decisione non è definitiva, vari esponenti del Likud, i fedelissimi, hanno cercato di dissuadere il primo ministro, convinto che ottenere una forte vittoria a delle primarie ora potrebbe aiutarlo anche a ricostruire la sua leadership a livello nazionale e a far capire ad altri partiti che se speravano in un colpo di stato all’interno del Likud, rimarranno delusi. Netanyahu al momento gode di grande popolarità dentro al partito, ma la sua incapacità di formare una coalizione per governare il paese sta minando quell’aura di invincibilità politica che lo avvolge da dieci anni e quel “sono pronto” ha riempito il partito e i suoi avversari di molte domande e anche qualche curiosità. Quindi meglio aspettare, Katz potrebbe avere ragione, e in più le primarie, se fatte a breve, dovrebbero tenersi a novembre, gli sfidanti di Netanyahu avrebbero tutto il tempo di prepararsi mentre lui sarebbe ancora alle prese con le decisioni dei pubblici ministeri in merito alle accuse di corruzione, di frode e di abuso di fiducia. Tre ex collaboratori del primo ministro sono pronti a testimoniare contro di lui in questi giorni e il procuratore generale di Israele, Avichai Mandelblit, ex segretario di gabinetto di Netanyahu, dovrebbe comunicare la sua decisione entro poche settimane, forse proprio a novembre e il premier parteciperebbe con grande svantaggio anche se, in caso di incriminazione, non ha intenzione di dimettersi e secondo la legge israeliana può farlo fino a quando tutti i processi di appello saranno conclusi.
I media israeliani raccontavano che giovedì sera Netanyahu, aggrappato alla sua leadership, stesse continuando a spingere i suoi alleati a firmare una dichiarazione in cui si impegnavano a non sostenere nessun altro candidato, nessun altro capo di un altro partito politico fino alle prossime elezioni che spera di non dover convocare. E così continua lo stallo, né Netanyahu né il suo principale rivale, Benny Gantz, leader di Blu e bianco, il partito che il 17 settembre ha ottenuto più seggi, 33 contro i 31 del Likud, sono in grado di formare una coalizione che abbia la maggioranza dentro alla Knesset, il Parlamento israeliano. Nessuno dei due è in grado di governare senza l’altro, ma il tentativo del presidente Reuven Rivlin di spingere per un governo di unità nazionale sta sfumando. Netanyahu è addirittura tornato da Avigdor Lieberman – suo ex ministro prima degli Esteri poi della Difesa, uscito dal Likud per fondare un proprio partito, Yisrael Beytenu – nonostante il governo formato dopo le elezioni di aprile fosse caduto proprio a causa sua. Lieberman, questa volta, prima di parlare con il premier, aveva incontrato due settimane fa Benny Gantz, senza arrivare a un compromesso né con l’uno né con l’altro.
Il Likud e Blu e bianco erano invece vicini a un accordo, un governo condiviso con la premiership a rotazione ma proprio qui è sorto il problema: chi va per primo? Nessuno dei due si fida dell’altro. Gantz ha detto che il problema non è il Likud, ma sono Netanyahu e le sue accuse: “Se cede il suo incarico, entro un’ora ci sarà un governo di unità nazionale”. Il partito non ha ignorato quelle parole, qualcuno ha iniziato a leggerci un’opportunità e Gideon Sa’ar potrebbe esser perfetto. Tuttavia Sa’ar, scrive Anshell Pfeffer, giornalista di Haaretz e biografo di Netanyahu, deve fare attenzione, se fuori dal Likud c’è grande attesa per questa successione, dentro al partito l’idea che qualcuno trami contro il leader non piace molto. E’ vero, il Likud è sfinito dall’ambizione del suo leader, ma sa che a quell’ambizione deve anche molto. Quel “sono pronto” potrebbe essere un segnale, un modo per chiarire che lui c’è, Gideon Sa’ar si è messo a disposizione, ma le regole le fa sempre Benjamin Netanyahu.