Da “Hillary corrotta” a “Biden corrotto” la strada è breve e passa per gli stessi nomi e siti del 2016
Fox News, Breitbart e oltre. Il ruolo dei media conservatori nella diffusione delle accuse all'ex vice presidente fa presagire una campagna elettorale per il 2020 molto simile alla precedente
Se tiri i fili dell’accanimento di Donald Trump sulla famiglia Biden e l’Ucraina ti ritrovi immerso negli stessi nomi, siti e organizzazioni che hanno contribuito alla manipolazione informativa delle elezioni del 2016. Per esempio: una delle fonti principali delle accuse ai Biden è il Government Accountability Institute (GAI), un centro fondato nel 2012 da Steve Bannon, architetto del trumpismo, finanziato da Robert Mercer, uno dei principali sostenitori della campagna presidenziale di Trump e presieduto da Peter Schweizer, editor at large di Breitbart. Il New Yorker ha mandato un’email a Bannon chiedendogli quanto conta il GAI nello scandalo Biden e lui ha risposto: “E’ cruciale”. Schweizer ha pubblicato nel 2015 un libro intitolato “Clinton Cash” in cui, tra le altre cose, si dice che Hillary Clinton aveva messo a repentaglio la sicurezza nazionale trafficando con la Russia in miniere di uranio per avere in cambio fondi destinati alla Clinton Foundation.
Ancora nel 2017, quando ormai la Clinton “corrotta” aveva perso le elezioni, Sean Hannity, anchorman di Fox News, definiva quella storia “il più grande scandalo di sempre che coinvolge la Russia”. Nel marzo del 2018, Schweizer ha pubblicato un altro libro, “Secret Empires”, nel quale un capitolo è dedicato ai conflitti di interesse di Hunter Biden, figlio dell’ex presidente Joe, in Ucraina (un altro capitolo parla degli accordi di Hunter in Cina). Il libro è stato presentato e commentato più volte su Fox News ed è diventato nella primavera di quest’anno la fonte di una serie di articoli pubblicati da John Solomon, giornalista formatosi al Washington Post che negli ultimi anni ha lavorato per alcuni media conservatori – oggi è vicepresidente di The Hill, dove ha pubblicato i suoi articoli sull’Ucraina e sui Biden. In un articolo del primo aprile scorso – intitolato: “L’incubo ucraino di Biden 2020” – Solomon cita esplicitamente il libro di Schweizer: durante il mese di aprile, i due, Solomon e Schweizer, sono apparsi ripetutamente su Fox News a parlare di Ucraina e di Biden, e quando lo stesso Hannity ha discusso della questione nella sua trasmissione, Trump ha tuittato un riferimento all’articolo di Solomon; Donald Trump Jr ha tuittato il link di un articolo del Daily Wire, un media conservatore, che riprendeva la storia di Solomon; Rudy Giuliani, avvocato personale di Trump, ha iniziato a chiedere, in diretta su Fox News, che il dipartimento di Giustizia guidato da William Barr investigasse il ruolo dei leader democratici in Ucraina (nel giorno in cui Biden si è candidato alle primarie del Partito democratico, il 25 aprile scorso, Trump, intervistato da Hannity su Fox News, ha detto: “Immagino che Barr voglia vedere di che si tratta”). Nel giro di qualche settimana, la discussione sui Biden e l’Ucraina era ormai finita sui grandi giornali, mentre Giuliani iniziava i suoi viaggi in Ucraina con tweet collegati di aggiornamento, Trump diceva (secondo il whistleblower che ha denunciato la telefonata “do me a favor” al presidente ucraino) che avrebbe accettato materiale compromettente sui suoi rivali politici da potenze straniere e pure Barr iniziava le sue visite segrete da altri paesi alleati, compresa l’Italia.
Quel che è accaduto dopo lo stiamo scoprendo, è materia di impeachment, ma come scrive Jane Mayer sul New Yorker la teoria del complotto sulla corruzione di Biden in Ucraina è stata creata e divulgata dagli stessi gruppi che avevano creato le storie sulla corruzione di Hillary, quelle per cui i sostenitori di Trump gridavano ai suoi comizi: mandiamola in galera. Paul Barrett, autore di uno studio intitolato “La disinformazione e le elezioni del 2020” dice che “non c’è un meccanismo efficace per strappare via la disinformazione” e che “non stiamo facendo nulla” al riguardo. La campagna elettorale del 2020 sarà molto simile a quella del 2016, insomma, a meno che non sia lo stesso Trump, questa volta, a rimanere impigliato, a cadere vittima della sua stessa disinformazione.