Un manifesto a Belfast, in Irlanda del nord (foto LaPresse)

L'“ottimismo” sulla Brexit

Luciana Grosso

Perché oggi molti sono fiduciosi se ieri erano rassegnati all’ennesimo negoziato fallito? Qualche indizio: un incontro andato bene e il solito confine di terra

Qual è il colmo per un’isola? Avere un confine di terra.
 Capita. Non di frequente, ma capita. 
Ed è proprio lì, in quel confine paradossale e che a rigor di logica non dovrebbe neppure esistere, che sta il principale problema della Brexit. Un confine che non si può ergere, perché così sta scritto negli accordi di pace del Venerdì Santo, ma che l’Unione europea (giustamente, ci sentiamo di aggiungere) pretende. Ma come si fa un confine in un posto in cui non si può fare un confine? Theresa May aveva trovato una soluzione, detta backstop, che funzionava più o meno così: l’Irlanda del nord sarebbe restata all’interno del mercato unico e il confine sarebbe stato spostato più in là, dove non avrebbe dato fastidio a nessuno: in mare. Perfetto, no? No, tutt’altro. Però almeno era possibile, che di questi tempi è tanta roba. Com’è finita, poi, lo sanno tutti: la soluzione May fu bocciata (tra scroscianti applausi) e la Brexit è ancora qui. A dire no a May furono, tra gli altri, quelli del DUP, il partito conservatore irlandese, che riteneva inaccettabile che l’Irlanda del nord venisse separata così nettamente dalla Gran Bretagna. Il Labour e alcuni transfughi dei Tories, invece, dicevano che il backstop era una fregatura perché di fatto obbligava il Regno Unito a rimanere dentro l'unione doganale. Quindi niente piano May, niente backstop e, dallo scorso luglio, niente più nemmeno Theresa May.

 

Ora, sono passati tre mesi, mancano 15 giorni alla nuova scadenza della Brexit, e la situazione non è granché cambiata. L’Europa vuole un confine dove non si può fare, l’Irlanda no e Londra non sa dove sbattere la testa. “La mia opinione è che l’Irlanda del nord venga usata come pretesto per bloccare tutto – ci spiega Geoff Watt dell’European Movement Northern Ireland, il gruppo a favore dell'Europa dell’Irlanda del nord – Credo che a Londra si siano accorti di essere in un cul de sac e che cerchino solo un modo per uscirne. Boris Johnson sta barando, sta prendendo tempo: non vuole né la Brexit né un deal: vuole le elezioni anticipate e vuole poterci arrivare dicendo che la Brexit non è fallita per colpa sua, ma per colpa dell’Ue, degli irlandesi o del maltempo”.

  

E quale pretesto migliore dell’Irlanda? “La nostra terra è da sempre un nido di vespe per la politica inglese. Anche dopo che la guerra è finita, qui, in pochi chilometri si concentra una grande conflittualità. Non ci sono più le armi e la violenza certo, ma la situazione non è tranquilla. Le questioni aperte e la reciproca diffidenza tra separatisti e unionisti non sono mai sparite. E, come era prevedibile, Brexit le ha riaccese. I separatisti, ovvio, vogliono l’Unione europea, perché preferiscono stare con altri 27 paesi, in una grande Unione, invece che restare da soli con gli inglesi, che ancora non digeriscono del tutto. Gli unionisti, invece sono in una posizione più delicata, perché da un lato vogliono restare con Londra, dall’altro la Brexit non piace nemmeno a loro e, anche se non hanno il coraggio di dirlo, pensano che lasciare l’Europa sia un prezzo molto alto da pagare per restare nel Regno. Il backstop peggiora le cose poi, perché di fatto rende i nordirlandesi inglesi di serie B. E allora tanto vale…”.

 

  

L’espressione “tanto vale”, quando si parla di Irlanda del nord, non è roba da poco perché apre scenari imprevedibili e imprevisti. Gli accordi del Venerdì Santo prevedono che, qualora vi sia il fondato sospetto che il nord desideri lasciare il Regno Unito per unirsi all’Eire, allora dovrebbe (per forza, lo prescrive l’Accordo) tenersi un referendum in merito. “In condizioni normali – continua Watt – l’esito sarebbe a favore della permanenza con Il Regno Unito, ma con la Brexit di mezzo le cose potrebbero cambiare. Nessuno sa quel che può succedere”.

 

Tra quelli che non hanno idea di quel che accadrà c’è anche la Repubblica d’Irlanda che, sorpresa!, dell’Irlanda del nord non ne vuole sapere. Le ragioni per cui Dublino non vuole niente di più che un rapporto di buon vicinato con i cugini dell’Ulster sono tante e chiare. La prima è politica e culturale: l’Eire, che pure è cattolico, è uno dei paesi più liberali d'Europa, mentre l'Irlanda del nord è rimasto uno dei paesi più conservatori della regione. Poi ci sono quelli economici: l’Ulster è povero e vive di finanza pubblica, mentre l’Eire è in ripresa (ha il tasso di crescita più alto per gli ultimi quattro anni dell'Eurozona).
 Dunque, se, con un colpo di scena nel colpo di scena, l’Irlanda del nord dovesse dare segno di volersi avvicinare a Dublino, per l’Eire sarebbe un carico enorme.

 

Per questo, con l’ennesima giravolta, oggi, Dublino, che non voleva la Brexit e che anzi ha dato man forte a David Cameron perché vincesse il referendum, ora si ritrova ad essere l’alleata numero uno di BoJo. Il 10 ottobre, il primo ministro irlandese Leo Varadkar e il premier inglese si sono incontrati in un luogo segreto e lontano dalla stampa. Cosa si siano detti di preciso non si sa. Quel che è certo è che Varadkar ha detto di essere “ottimista che un accordo si troverà entro la fine del mese”. 
Forse l’ipotesi più probabile è che Dublino trovi un modo per creare una dogana elettronica tra le due Irlande che non appaia come un vero confine, ma più come una zona franca, un’intercapedine di territorio. Una pezza che rattoppi il buco della Brexit, che permetta a Dublino di non doversi fare carico dei nordirlandesi e che permetta a Johnson o di andare a Bruxelles dicendo “ho fatto il confine, ce l’ho fatta, addio” o di andare a Westminster e dire “è impossibile, sciogliamo le camere, andiamo a elezioni e datemi pieni poteri (cit.)”. 
Nessuna delle due strade appare meno sconclusionata dell’altra. Eppure è una di queste che, prima o poi, prenderà forma e per rendere l’idea di quanto paradossale la situazione sia, basti sapere che il Guardian ha definito Dublino “un nano con un grande vantaggio: l’inettitudine britannica”.

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