Jaroslaw Kaczynski ha fondato il PiS nel 2001 assieme a suo fratello gemello Lech, morto in un incidente aereo mentre era presidente (foto LaPresse)

PiS and Love

Micol Flammini

La Polonia va al voto contando su un nuovo mandato del partito di governo e del suo leader più amato. Appunti su una controrivoluzione e sulle svolte che arrivano dal futuro

Per il PiS il voto di domenica in Polonia non sarà altro che la “battaglia finale”, come lo aveva definito Jaroslaw Kaczynski dopo il risultato delle elezioni europee di maggio. L’opposizione, meno compatta di cinque mesi fa, lo attende invece un po’ rassegnata, perché i sondaggi non lasciano spazio ai dubbi: Diritto e giustizia, il PiS, il partito al governo, sarà il vincitore. Per qualcuno è addirittura sopra al 50 per cento, ha conquistato l’inconquistabile, ha scacciato dal centrodestra il maggior partito di opposizione, il Po (Piattaforma civica), e si è posto come unica forza in grado di difendere la Polonia, i polacchi e i loro valori. Il PiS si è preso tutto, si è affidato a Jaroslaw Kaczynski, che lo ha fondato nel 2001, e che con un lavorio paziente e silenzioso, ha iniziato a scardinare gli ultimi trent’anni della storia polacca, ha risvegliato sentimenti nazionalisti sopiti, ha messo la nazione sottosopra capendo, prima degli altri, che la logica del noi contro di loro, del bastione nazionale da difendere, avrebbe avuto successo dentro alle urne.

 

A mantenere Diritto e giustizia così forte politicamente è stata la politica dei sussidi e la costante crescita economica

Tutto è iniziato il 10 aprile del 2010, il giorno dell’incidente aereo in cui il fratello gemello di Kaczynski, Lech, allora presidente della Polonia, morì con sua moglie e altre cariche dello stato in un incidente aereo. E non era un incidente aereo qualunque, perché il Tupolev Tu-154M, un modello vecchio e spesso sconsigliato al presidente, si schiantò sulla pista di atterraggio dell’aeroporto di Smolensk, Russia, dove era diretto per commemorare le vittime del massacro di Katyn del 1940, durante il quale l’Nkvd sovietico uccise ventiduemila civili e militari polacchi. Fu un incidente, disse l’inchiesta. Fu un attentato, disse il PiS, che per gli anni a venire insistette nel dire che andavano trovate le prove della responsabilità di Mosca. Lech Kaczynski fu sepolto nella cattedrale del Wawel, a Cracovia, dove riposano i re polacchi, e gran parte del paese, che ha imparato a credere, per ragioni storiche per le quali è difficile dargli torto, che i russi sono capaci di qualsiasi cosa, ha iniziato a lasciarsi accarezzare, e poi fomentare, dalle idee di rivalsa del partito nazionalista, che cinque anni dopo ha vinto le elezioni con il 38 per cento dei voti.

 

L’incidente è servito da collante, poi la crisi dei rifugiati ha fornito qualche arma di propaganda in più da usare soprattutto contro l’Unione europea. Ciò che però ha tenuto il PiS saldo fino a oggi nelle preferenze dei polacchi è stata la politica dei sussidi, agevolata dall’austerity condotta dal governo precedente, con Donald Tusk come premier, che ha lasciato diversi risparmi da spendere in bonus elettorali, e dalla crescita veloce e florida che ha portato la Polonia a raddoppiare il suo pil dal 2004, anno in cui entrò nell’Unione europea. Il governo nazionalista del PiS ha dato bonus alle famiglie, ogni famiglia ha ricevuto 500 zloty (116 euro) al mese per ogni figlio dopo il primo, ha abbassato l’età pensionabile e introdotto un altro bonus per i pensionati, oltre a promettere un taglio drastico delle tasse, soprattutto per i giovani al di sotto dei 26 anni, con l’inizio della nuova legislatura. Le promesse dal 2015 sono state mantenute e gli elettori hanno un motivo pragmatico per rinnovare il voto al PiS, anzi per estenderlo. Secondo i sondaggi dell’istituto polacco Kantar, a votare per Diritto e giustizia saranno soprattutto uomini che vivono fuori dalle città più grandi e con un’istruzione mediamente bassa, più sensibili alla propaganda della televisione di stato, e i piccoli imprenditori, gli agricoltori, gli allevatori ai quali negli anni il partito ha raccontato che erano stati vessati dall’Unione europea. L’arrivo in Commissione Ue del timido Janusz Wojciekowski, non a caso con il portafoglio dell’Agricoltura, è stato interpretato come una delle strizzate d’occhio ai sovranisti della presidente eletta Ursula von der Leyen. Le città, Varsavia, Danzica e Cracovia, invece resistono, protestano, si sentono diverse e mentre il PiS dopo queste elezioni vuole riaffermare la lontananza della Polonia dai valori liberali del blocco europeo, le città rimangono fieramente attaccate allo sforzo che la nazione ha dovuto affrontare in questi ultimi trent’anni, da quando nel 1989 riuscì ad affrancarsi dal blocco comunista, un affrancamento che fu economico, ma anche ideologico.

 

L’opposizione sta vivendo una crisi esistenziale, non sa che paese vuole costruire e si è presentata con un programma fragile e indeciso

In questi anni l’opposizione ha perso molto, se non tutto, ha cercato di coalizzarsi presentandosi alle elezioni europee con un gruppo di partiti raccolti sotto l’ombrello del Po. La Coalizione europea (Ke) – che ha perso alcuni pezzi ed ora si chiama coalizione civica (Ko) – non riesce a essere convincente. L’affluenza a maggio è stata molto alta e il PiS aveva raggiunto il 48 per cento dei voti. Domenica si prevede un’affluenza ancora più alta, Kantar parla del 60 per cento, e nonostante il Po e gli altri partiti abbiano promosso una campagna in mezzo alle piazze e dietro ai cancelletti sul perché è importante andare a votare, non sarà il basso numero di votanti il loro problema. I polacchi alle urne sembrano intenzionati ad andarci, convinti di volerscegliere il programma del PiS, voteranno per la fitta lista di sussidi che ha introdotto negli anni passati e per la fitta lista che ha promesso negli anni a venire. Il Po ha cercato di riorganizzarsi, ma non ha più leader: Tusk, il polacco più famoso d’Europa, piace nel suo paese (ma non abbastanza, infatti avrebbe abbandonato l’idea di candidarsi il prossimo anno alle elezioni presidenziali), ma il resto del partito è giudicato poco carismatico, evanescente. Grzegorz Schetyna, leader della Coalizione, ha deciso di non proporsi come candidato premier, ma di presentare al suo posto Malgorzata Kidawa-Blonska, nipote di un ex presidente e di un ex primo ministro, molto preparata, come lui, ma poco amata, come lui. “Il problema dell’opposizione – dice Jacek Kucharczyk presidente del think tank Isp – è che non sanno più chi sono e cosa rappresentano. Non riescono a ridefinirsi”. Il Po era un partito di centrodestra, al Parlamento europeo siede tra i popolari, ma il PiS è riuscito a cacciarlo dalla sua posizione, spingendolo a sinistra dove però viene percepito come un corpo estraneo. “Piattaforma civica non sa se vuole riprendersi i suoi elettori conservatori o se andare a caccia di nuovi voti, i liberali, i giovani, le sinistre”, continua Kucharczyk, e ne è venuta fuori una campagna elettorale disordinata, senza un programma ben definito, con troppi ideali per i quali la maggioranza dei polacchi non ha mostrato particolare interesse, prediligendo il pragmatismo del PiS. La campagna elettorale del PiS invece è stata più capillare, aggressiva sui social, affidata a tre dei ragazzacci del partito: Pawel Szefernaker, che ha introdotto l’idea che Twitter è un pozzo di voti, guadagnandosi lo pseudonimo di Sauron il signore dei troll; Radoslaw Fogiel e Patryk Jaki, ex viceministro della Giustizia e oggi parlamentare europeo.

 

La Polonia è un ponte tra est e ovest che in questi anni Bruxelles ha visto tremare. Ora dovrà impedire nuovi scossoni

Jaroslaw Kaczynski in questi anni ha rinnovato alcuni aspetti del partito, ad esempio ha ridefinito la propaganda contro l’Europa. Con un popolo che ha lottato per diventare europeo e si è ricostruito grazie ai fondi dell’Ue, gli argomenti che Viktor Orbán ha usato in Ungheria non potevano funzionare, i polacchi sono europeisti e l’idea di uno scontro con l’Ue non piace. Così anche Kaczynski ha ammorbidito i toni e ha capito che l’aspetto pratico del rapporto tra Varsavia e Bruxelles, i soldi, non poteva essere sottovalutato. L’unione politica non conta, ma il denaro sì, per questo durante un convegno lo scorso anno ha definito l’Ue “un bancomat”, dicendo che stare dentro è molto meglio che stare fuori, ma l’importante è non lasciarsi infettare dalle malattie sociali dell’occidente. 

 

Mentre l’opposizione affronta una crisi esistenziale e non è capace di dare una prospettiva, che paese vogliamo diventare?, il PiS è stato in grado di rispondere a questa domanda e vuole approfittare di questi anni per fare tutto quello che non è ancora riuscito a fare: portare avanti la riforma della magistratura e mettere le mani sui media. Finora la Polonia, rispetto all’Ungheria, ha potuto contare sulla protezione di un’opinione pubblica molto attiva, guardinga, dinamica. Sono scesi in strada i giudici, sono scesi in strada i professori e gli studenti, i giornali hanno condotto una battaglia quotidiana contro gli scandali del PiS e in difesa dello stato di diritto. I cittadini hanno dormito davanti ai tribunali, vegliato di fronte al museo della storia ebraica, per ricordare al governo che con le leggi sbagliate, come quella sulla memoria dell’Olocausto, si scoperchiavano vecchi fantasmi, hanno acceso torce nella piazza di Danzica dopo l’assassinio del sindaco Pawel Adamowicz per dire che l’odio, quello della tv di stato e quello del PiS, aveva fatto la loro prima vittima e rischiava di farne altre. Di fronte a tutto ciò il Po e gli altri non sono stati in grado di proporre una risposta politica, addirittura il Psl, il Partito popolare polacco, che fino alle elezioni di maggio faceva parte della Coalizione europea, ora si è unito a Kukiz’15, il partito di estrema destra conosciuto in Italia per le simpatie pentastellate.

 

A votare per il PiS sono soprattutto uomini con una istruzione mediamente bassa che vivono lontani dalle città

Il PiS è un partito variegato, un partito-persona dentro al quale a tenere unite tutte le differenze c’è Jaroslaw Kaczynski. “Non sarò eterno”, ha detto la scorsa settimana durante una riunione di partito, lasciando intravedere uno dei futuri problemi che il partito dovrà affrontare: la successione. Le correnti dentro a Diritto e giustizia sono molte, ci sono i giovani, i ragazzacci, e gli anziani, usciti da Solidarnosc; ci sono i conservatori e gli estremisti; gli europeisti e gli euroscettici. Kaczynski non ha fatto capire se intende designare qualcuno che lo sostituisca e le faide sono già iniziate perché i contendenti non piacciono a tutti e non si piacciono tra di loro. Il più in vista, al momento, è il premier uscente Mateusz Morawiecki, ma molti non condividono il suo essere banchiere, poliglotta, tanto di città e poco di campagna. L’argomento del futuro leader è stato abilmente evitato prima delle elezioni, per le quali il partito ha preferito mostrarsi in tutta la sua compattezza, fondamentale per vincere. Il Pis ha un disegno chiaro in testa, può contare sul sostegno della chiesa, sul favore di molti media, su un momento ancora propizio a livello economico, potrà approfittare di questi cinque anni per trasformare la Polonia e per renderla ciò che non è: un paese chiuso, autoritario. Ma non fuori dall’Ue.

 

Varsavia non vuole abdicare al suo ruolo di potenza europea, è il quarto stato per grandezza ed è stata sempre un ponte tra est e ovest. Bruxelles ha visto questo ponte tremare e ora vorrebbe evitare futuri scossoni, ma più sarà debole, più non riuscirà a impedire che il PiS faccia alla Polonia quello che Fidesz ha fatto, nel tempo, all’Ungheria, riportandola indietro di trent’anni. Rimane una speranza per chi sta all’opposizione, una speranza giovane, abituata a viaggiare e a sentirsi europea e polacca in egual misura. I ragazzi che hanno assaporato i valori liberali, lo stile di vita europeo, non sono disposti a rinunciarvi e sono pronti a scendere in piazza più che possono per fermare il disegno del PiS.

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