Manifestazione di protesta contro l'antisemitismo, Berlino (foto LaPresse)

“La Germania simpatizza per gli ebrei morti, non per i vivi”. Parla Broder

Giulio Meotti

Secondo il colunmnist della Welt ci sono similitudini tra Halle e il 1938. Tutti i paradossi di un paese in cui si è pronti a criticare il vicino che non fa la differenziata ma ci si gira dall'altra parte quando i propri concittadini vengono assassinati perché ebrei

Roma. “Nie wieder?”, titola lo Spiegel di questa settimana, mettendo in copertina una stella di Davide bucherellata. I colpi sono quelli contro la sinagoga di Halle da parte di un neonazista, Stephan Balliert, che ha lasciato a terra due morti fra i passanti e un bilancio che sarebbe stato molto più tragico se le porte della sinagoga non avessero retto all’assalto (era Kippur e la sinagoga era piena). Nie wieder significa mai più. Numeri impressionanti. “Nella sola Berlino, oltre mille incidenti antisemiti nel 2018, il 14 per cento in più rispetto all’anno precedente. Quasi 75 anni dopo la fine dell’Olocausto, gli ebrei che celebrano Kippur in sinagoga devono temere per la propria vita”. I rabbini sono attaccati a Berlino, Monaco e Amburgo. A Colonia, il rabbino non usa i mezzi pubblici per sicurezza. A Hemmingen, vicino Hannover, una anziana coppia di ebrei ha trovato lo zerbino bruciato e sulla porta la scritta “ebreo”. A Bamberg sul muro di un ponte: “Non comprare dagli ebrei”. In una column al vetriolo pubblicata da Welt, Politico e Business Insider, Mathias Döpfner, l’amministratore delegato del gigante dei media Axel Springer (possiede anche la Bild, il quotidiano più venduto), ha dato voce a tutto il pessimismo possibile. Döpfner attacca la segretaria della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer, che ha definito Halle come una “sveglia”. “Rappresenta simbolicamente una cultura politica perseguitata dagli eufemismi”, scrive Döpfner. “C’è una mancanza di volontà di chiamare le cose con il loro nome. Invece, si nasconde o minimizza. Le élite politiche e mediatiche dormono il sonno dei giusti e del politicamente corretto. Hanno paura di disturbare la pace?”. Altro che sveglia, secondo Döpfner è “il fallimento sistemico della società aperta”.

 

Eccoli i colpevoli secondo il magnate dei media: “Le politiche sui rifugiati, una forza di polizia troppo debole e mal equipaggiata, una pubblica amministrazione e un sistema giudiziario inattivi, un’élite politica che rifiuta di affrontare la realtà, dei media che troppo spesso descrivono come dovrebbero essere le cose invece della situazione così com’è”. Il finale è disarmante: “Non voglio vivere in un paese in cui le persone rimproverano i propri vicini per non riuscire a separare la spazzatura, ma guardano dall’altra parte quando i propri concittadini vengono assassinati a causa del colore della pelle o perché sono ebrei”. Nie wieder? non ha più molto significato.

 

Henryk M. Broder, columnist della Welt e intellettuale ebreo, è la coscienza tedesca sull’antisemitismo, almeno dal 1981, quando in un articolo per la Zeit si rivolse così ai tedeschi contemporanei: “Siete ancora i figli dei vostri genitori. Il vostro ebreo oggi è lo stato di Israele”. “Oggi dicono che l’antisemitismo è Auschwitz”, dice Broder al Foglio. “Quello che è successo alla sinagoga di Halle ricorda il 1938, ma quando si dice che l’antisemitismo è sinonimo di Auschwitz tutto quello che accade oggi perde di importanza. C’è un desiderio inconscio nella Germania di vedere l’Iran finire il lavoro, la prossima Shoah. E’ infantile essere sorpresi dall’antisemitismo, perché l’antisemitismo è parte del dna tedesco”. Sì, ma a Halle è stato un neonazista ad attentare per la prima volta mortalmente alla vita degli ebrei, mentre in Francia sono stati gli islamisti. “Non è vero che è la prima volta”, ci dice Broder. “Negli anni Sessanta e Settanta in Germania ci furono attacchi mortali contro gli ebrei lanciati dalla banda Baader-Meinhof e dall’intelligence libica. Destra, sinistra, islamismo, tutto si tiene qui, e le autorità tollerano slogan antiebraici, come ‘Hamas Hamas ebrei ebrei al gas’, e roghi di bandiere israeliane. Non pensavo che Halle sarebbe mai successo. Ma la società di oggi ha una grande simpatia per gli ebrei morti, mentre fatica a lottare per gli ebrei vivi”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.