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Ecco che cosa succede (anche a Milano) quando manifesti contro Pechino

Lorenzo Borga

Il sit-in a piazza Duomo e il bullismo cinese, fisico e virtuale

Milano. Le immagini delle manifestazioni a Hong Kong riempiono i media internazionali da mesi. Ma ultimamente la protesta si è trasformata in uno scontro tra modelli, e in forma ridotta ha varcato i confini. Qualcosa è accaduto anche in Italia. Il 28 settembre scorso a Milano un gruppo di manifestanti di Hong Kong insieme con cittadini italiani, taiwanesi e di altre parti del mondo, ha indetto un sit-in di protesta in Piazza del Duomo, parte di una rete di manifestazioni simili di solidarietà per Hong Kong organizzate in varie città del mondo. Anche a Milano, come altrove, il gruppo è stato fronteggiato da una contro-manifestazione di cittadini cinesi residenti in Italia. La tensione tra le due formazioni ha reso necessario a un certo punto l’intervento della polizia. Ma lo scontro non si è fermato al giorno della manifestazione. Sono infatti rintracciabili – da diverse chat e forum usati dalla comunità cinese a Milano, alcune pubbliche e altre private – insulti e minacce nei confronti dei manifestanti pro-Hong Kong.

 

  

La prima manifestazione del 28 settembre è stata organizzata dal collettivo “Stand with Hong Kong – Italy”. Le poche decine di manifestanti hanno fin da subito incontrato alcuni cittadini cinesi con cui è partito un battibecco. Su WeChat, l’app cinese che tra le altre cose ha una funzione di messaggistica, parte la prima segnalazione a un gruppo di quasi 400 membri della presenza della manifestazione a favore della libertà di Hong Kong. Il passa parola porta in piazza nel giro di un paio d’ore quasi cento cittadini cinesi residenti in Italia, con tanto di bandierine e cartelloni. I due gruppi si incontrano di fronte al Castello Sforzesco, partono insulti e urla, e il gruppo di Hong Kong – in minoranza numerica – decide di mettere fine alla protesta e disperdersi. Secondo la ricostruzione fatta al Foglio da alcuni dei presenti, i nazionalisti cinesi avrebbero seguito un piccolo gruppo, avrebbero continuato a insultarli e avrebbero poi cercato di fotografare i loro volti, utili a identificarli.

 

Al termine della manifestazione, alcune fotografie scattate dai cittadini cinesi vengono caricate sui social network accompagnate da didascalie che invitano a tenere a mente i volti dei manifestanti pro-Hong Kong. C’è anche chi chiede aiuto per cercare i leader delle proteste per “fargli passare qualche problema di notte”. I commenti peggiorano via via per aggressività. Un utente vorrebbe “dare una lezione ai rivoltosi pro-indipendenza, legarli e portali con forza al consolato” cinese a Milano. Proprio il consolato è tirato in ballo più volte: si chiede ai funzionari e diplomatici cinesi in Italia di intervenire, altrimenti ci penseranno loro a “picchiarli” per “renderli invalidi” e a “violentare le ragazze sul posto”. I commenti citano anche gli italiani, nelle cui aziende gli utenti cinesi vorrebbero “massacrare di botte gli avversari”, mentre altri utenti vorrebbero chiedere ai “delinquenti napoletani” (o ai nordafricani) di picchiare al posto loro i manifestanti pro-Hong Kong. Le parole non sono state seguite, per ora, da violenze fisiche ma alcune persone che erano in piazza hanno paura di ritorsioni. E’ il caso di una donna, nata in Cina e residente nel nostro paese da anni, che era in piazza assieme ai manifestanti pro-Hong Kong. Dopo essere stata riconosciuta online e aver ricevuto minacce dirette, la donna ha sporto denuncia alla polizia.

 

 

I metodi delle contro-manifestazioni cinesi sono diffusi e frequenti in tutto il mondo. Anche in molte altre città occidentali si sono verificati scontri verbali tra gruppi opposti, e grazie alle fotografie dei volti si sono utilizzati metodi intimidatori come quelli di Milano. Chu, un nome di fantasia per tutelarne l’identità, è una delle organizzatrici del primo sit-in e quindi testimone oculare degli scontri, e teme che i manifestanti cinesi siano estremamente organizzati e pronti a tutto.

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