Ursula von der Leyen

L'età dei tradimenti. Com'è che l'Europa è così nervosa?

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La von der Leyen va a caccia di fiducia e soprattutto di fedeltà. In Germania c’è un concorso di bellezza a sinistra con in palio la Grande coalizione. Il calcio e il sesso dell’est

Il Consiglio europeo che si apre oggi è, come spesso è accaduto in passato, molto diverso rispetto a quel che ci si aspettava anche soltanto quindici giorni fa. Donald Trump ha dato delega alla Turchia di occuparsi della Siria e ha ritirato le sue truppe (o cerca di farlo: si parla di ponti aerei necessari), abbandonando l’alleato curdo e anche quello europeo: se lo Stato islamico risorge, se la Turchia non tiene i rifugiati, se la Russia e il regime siriano si rafforzano, il prezzo della decisione “di pancia” (anche se viene da piazzarla appena più in basso, e dietro) del presidente americano sarà in gran parte sul conto dell’Europa. Reazioni? Poche, perché la politica estera europea non è mai stata incisiva e ancor meno può esserlo ora che lo slancio unitario dell’Ue si è perso in una serie di tradimenti più o meno pubblici.

 

La Commissione di Ursula von der Leyen non si insedierà il 1° novembre come stabilito dalla procedura, anche la neo presidente è stata costretta a chiedere una proroga come un premier inglese qualsiasi. Mancano all’appello tre commissari, caduti vittime di vari cecchini. La rifondazione europea vagheggiata da Emmanuel Macron si è trasformata in un’assenza di fedeltà: la famiglia europea del presidente francese, Renew Europe, non ha voluto firmare alcun accordo di non aggressione con gli altri europarlamentari, forse per uno slancio di fiducia o forse per un eccesso di presunzione, così nessuno si è sentito in dovere di essere fedele a nulla, nemmeno al proprio europeismo.

 

La candidata francese è stata bocciata così come quella romena e quello ungherese, e si aspettano i nomi dei sostituti, mentre la von der Leyen va ripetendo: basta sangue. Manfred Weber, che avrebbe dovuto essere al suo posto perché era lo Spitzenkandidat del Partito popolare, fa finta di non sentirla e anzi a Macron che non lo ha voluto dice: smettila di prendertela con gli altri se la tua candidata Sylvie Goulard è stata bocciata, noi non ci vendichiamo, noi proteggiamo le istituzioni da commissari che non mostrano sufficiente integrità. Macron sostiene che gli era stato garantito il sostegno alla Goulard, ma proprio mentre discute di parole date e parole tradite tradisce pure lui le promesse fatte ai paesi che vogliono entrare nell’Ue, l’Albania e la Macedonia del nord. Il “no” francese all’allargamento risuona come un allarme di quelli che non si spengono più e il presidente francese sprezzante commenta: fermiamo questa “soap opera senza fine” dell’espansione. E sì che il giorno prima, con a fianco la cancelliera tedesca Angela Merkel, aveva detto: “In questo preciso momento, l’Europa non può permettersi il lusso di litigi inutili o di guerricciole o di aggiungere crisi interne alla tensione globale: la nostra forza risiede nella nostra unità”. Amen.

  

La Catalogna è un paradosso.

Da quando il Tribunale supremo spagnolo ha emesso la sentenza contro i dodici leader indipendentisti, Barcellona ha smesso di dormire. Da due giorni continua a protestare e martedì sera quarantamila persone si sono ritrovate sotto la sede della delegazione del governo di Madrid. Cassonetti bruciati qua e là per la città, episodi di violenza, manifestanti incappucciati e le cariche della Polizia, Guardia civil e Mossos d’esquadra insieme. La prima è la polizia nazionale, la seconda quella catalana che il governo di Barcellona ha dovuto inviare per evitare le violenze, nonostante la stessa Generalitat e gli stessi Mossos stiano dalla parte di chi protesta. Pedro Sánchez, il premier spagnolo senza governo, ha dovuto convocare d’urgenza i rappresentanti degli altri partiti politici perché una soluzione con la Catalogna che dopo due anni torna a protestare va trovata in fretta, prima delle elezioni che saranno a novembre. Pablo Casado, leader del Pp, uscito dalla riunione ha detto che l’imprevisto è stato più grande di quello che Sánchez potesse pensare e che devono essere prese al più presto delle misure. Il premier, che è ancora in clima elettorale, ha detto che il governo non scarta nessuna delle soluzioni. La Catalogna è un tormento, per catalani e spagnoli, la politica di Madrid rimane appesa a quello che succede a Barcellona. Anche il calcio a dirla tutta: la Liga ha chiesto di spostare “el clásico”, la partita Barça-Real Madrid, in programma nello stadio catalano il 26 ottobre, nella capitale spagnola.

  

Spd in tour.

E’ quasi una festa, un concorso di bellezza, un format fresco e leggero per cercare di risorgere. Così il Partito socialdemocratico tedesco, dopo le dimissioni di Andrea Nahles all’inizio di giugno, sta cercando il suo nuovo volto, anzi due, perché l’Spd ha deciso di muoversi in coppia. Il concorso di bellezza ha già due star indiscusse.

  

Le star sono il ministro delle Finanze Olaf Scholz assieme a Klara Geywitz. I beauty contest tuttavia sono pericolosi, sempre, figuriamoci in politica e i candidati per pavoneggiarsi rischiano di mettere in pericolo il futuro della Germania, e giocando a chi fa più rumore, tutti promettono la testa della Grande coalizione. Chi salverà i socialdemocratici? I caroselli in giro per il paese sembra abbiano risvegliato l’interesse degli iscritti. Ma chi salverà la Germania? Forse non l’Spd, che per ristrutturare il Partito è pronto a far cadere il governo in uno dei momenti più difficile per il paese. Intanto anche la Cdu sta affievolendo la sua voce, Akk, Annegret Kramp-Karrenbauer, presidente della Cdu, designata come successore di Angela Merkel, è scomparsa. Non una parola, nemmeno sulla Siria, argomento che invece è diventato una battaglia del ministro degli Esteri Heiko Maas, dell’Spd. Ma le malelingue dicono che la cancelliera si sia accorta di essere stata un po’ troppo frettolosa e che per rimediare l’abbia messa al ministero della Difesa: era il posto di Ursula.

Calci bulgari.

A Boyko Borisov, premier bulgaro, il calcio piace da impazzire, ha spesso giocato nella terza divisione e nel 2011 era anche stato eletto dai suoi fan calciatore dell’anno. Lui avrebbe voluto annullare il voto e ha deciso di investire tempo e forze nella riforma dello sport, per fare in modo che i bulgari tornassero a credere nel calcio. Quando lunedì i tifosi della Bulgaria hanno iniziato a fare saluti fascisti e a intonare canti razzisti contro i giocatori dell’Inghilterra (le due squadre disputavano la qualificazione agli Europei e per Sofia è andata molto male), Borisov è rimasto inorridito e ha subito cercato i colpevoli e ordinato alla polizia di arrestare i responsabili. Ha anche preteso le dimissioni del presidente della federazione calcistica del suo paese. Se una nazione non rispetta la sport, dice, la sua società è da ricostruire.

  

La Polonia sul palco.

Da Varsavia alla fine sono arrivate anche buone notizie, il PiS ha sì vinto le elezioni, ma se le opposizioni saranno brave e attive e sapranno organizzarsi tutto quello che il partito di Jaroslaw Kaczynski ha in mente potrà essere bloccato in Senato, dove i partiti anti PiS, tutti uniti, hanno una piccolissima maggioranza. La Polonia ha tirato un sospiro di sollievo, ma la guerra tra i candidati di Diritto e giustizia e della Coalizione civica (Ko) sta diventando sempre più cruenta e una delle vittime è Klaudia Jachira, deputata di Ko. Klaudia Jachira è diplomata all’Accademia d’arte drammatica, e dice di avere due passioni: la recitazione e la politica. Negli ultimi anni ha deciso di unirle, realizzando su YouTube una serie di video provocatori contro il PiS e i suoi princìpi. In un video si mostra mentre sostituisce lo slogan “Dio, onore e patria”, con le parole “Fava, humus, insalata” (in polacco: Bóg, Honor, Ojczyzna e Bób, hummus, wloszczyzna). Per attaccarla un esponente, ex comico e cantante, del PiS l’ha definita una “Troia piena di fango in testa”. Che sarebbe stata un personaggio controverso per i suoi video, dalla Coalizione lo sapevano. Lei non ha intenzione di fare passi indietro: vuole trovare in Parlamento la sintesi perfetta tra politica, recitazione e opposizione.

Il sesso non fa scandalo.

Nella città di Gyor in Ungheria, ha vinto le elezioni Zsolt Borkai. Il fedelissimo di Orbán pareva finito, persino Fidesz, il suo partito, lo teneva a distanza, dopo che era diventato pubblico un video porno con lui protagonista: yacht, prostitute, sesso. Ma i cittadini non si sono affatto scandalizzati, lo hanno votato e rieletto. Lui ora lascia Fidesz perché non vuole ledere l’immagine del suo amatissimo partito, ma l’arrivo dei cosiddetti uomini forti al governo ha stravolto (anche) la classifica degli scandali. Sesso con le prostitute e affari con i russi sono scivolati giù giù.

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