La Brexit vista da Amleto
“Take back control” è scritto nel sangue nazionale e nel canone letterario inglesi. Margreta de Grazia, grande scespirologa, ci invita a marciare con lei contro il divorzio dall’Ue, ma sospetta la battaglia perduta dopo il capolavoro tattico di BoJo
Londra si presenta esotica e allegra alla vigilia del voto e seguenti. Arrivandoci da Parigi, via tunnel, sembra più lontana dell’Australia. Sono bizzarri, si sa, i britannici, ma anche i francesi hanno scritto la Costituzione dell’Unione europea e subito dopo l’hanno impallinata in un referendum. I popoli sono stravaganti: diffidarne. E capirli: vaste programme. I francesi sono ossessionati dallo stato, dall’eguaglianza, dai diritti, e discutono senza fine sul velo delle mamme che accompagnano i bambini a scuola. Gli inglesi conservatori considerano il velo un piccolo segno di modestia femminile, e l’eguaglianza è una giurisprudenza tradizionale. A Parigi c’è l’Europa, Londra sembra piena di mondo.
Margreta de Grazia è tra i massimi scespirologi, e ha scritto un saggio definitivo su Amleto, sostenendo che i suoi dubbi esistenziali, la sua storia d’amore, il suo freudismo antelitteram sono niente rispetto al suo senso di dispossession: doveva essere re, doveva avere pieno controllo sul suo “hamlet” (villaggio, regno), e il suo dramma vero è che fu tradito e spossessato del suo diritto naturale. Take back control è scritto nel sangue nazionale e nel canone letterario, più vero del vero. To be or not to be.
E’ una donna stupenda, Margreta, un’americana che vive a Londra con il grande scrittore di viaggi Colin Thubron, etoniano come e più di BoJo. Le domando, a lei che è una strenua remainer e si appresta a marciare domani da Trafalgar Square contro la Brexit, se abbiano tutti i torti i suoi avversari brexiteer a sentirsi dispossessed. Esita, ma la considera un’astrazione. “I vantaggi in mobilità, libertà, impegno sono immensi per tutti e per le generazioni future, anche Riccardo II voleva l’isola prima di tutto, e la celebrava, ma qui è in questione una vecchia cultura coloniale, imperiale, che contraddice il meglio del cosmopolitismo britannico”.
Ma ora? Ora che c’è un accordo per uscire con garbo? Qui l’esitazione cresce, nel senso che non sa come voteranno e non le sembra sensato dire come voterebbe lei ai Commons. Marcerà, dice che ogni corpo in più in piazza è una ricchezza, mi invita a marciare, ma il trauma dell’accordo si sente, il capolavoro tattico di BoJo è un punto di svolta, comunque la cosa si concluda sabato nei numeri del voto. “Johnson non è Trump, certo. Come sindaco di Londra, quando ci sono arrivata per restare, fece non bene, benissimo. E in realtà è un remainer che si è fatto banditore della Brexit perché era la via più sicura e più rapida per il 10 di Downing Street. E’ divertente, ma troppo. E il suo formidabile, agile, inveterato opportunismo, quell’idea di una superiorità aristocratica senza sforzo, rende il suo populismo antiestablishment una faccenda minacciosa. Il problema è che tra Labour e liberali non si vede un’alternativa credibile, Corbyn è noioso oltre che fragile e ideologico, e comunque non si mettono d’accordo su alcunché”. L’impressione è che la battaglia per l’Europa e contro i fantasmi di Singapore, magari in sintonia commerciale con le follie del trumpismo, sia regredita o progredita a una questione di principio. “Se avessero puntato da subito sul referendum confermativo, bene, ma ci sono arrivati tardi e male. So qual è la mia bandiera, la mia sensibilità, la mia scelta, ma del voto ai Comuni posso dire poco”. Parla del momento fatale con intelligenza fresca e grande semplicità, ma si vede che è triste e sospetta la battaglia perduta.
Intanto BoJo è il miglior alleato, e viceversa, delle leadership europee, che premono per l’accordo, Macron in prima fila, in mancanza di meglio, e aiutano il premier di Sua Maestà considerando con scetticismo l’idea di una nuova proroga. E’ l’ultima stravaganza prima del botto sulla lavagna. Ordeeer.