La volontà popolare è in marcia

Alastair Campbell

Perché soltanto un altro referendum può dire l’ultima parola sulla Brexit

Sabato sono accadute due cose importanti nel Regno Unito, a poca distanza l’una dall’altra. Dentro al Parlamento, il premier Boris Johnson ha subìto un’altra sconfitta: i parlamentari hanno votato contro il tentativo di far passare il suo accordo sulla Brexit senza le verifiche appropriate e senza che fosse escluso il rischio di un no deal. Fuori dal Parlamento, centinaia di migliaia di persone hanno manifestato per chiedere un People’s Vote, il voto popolare, sull’esito finale del processo della Brexit. È stata una delle più grandi proteste mai organizzate nel Regno Unito. La gente è arrivata da tutto il paese e molti inglesi sono venuti a Londra dagli stati europei in cui vivono per essere sicuri che la loro voce fosse ascoltata. “I brexiteer parlano moltissimo della volontà popolare”, ho detto alle persone riunite a Parliament Square, “ma anche noi siamo popolo, e questa marcia mostra che la volontà popolare è in movimento”.

   

È impossibile quantificare l’impatto di una marcia. Ma quando abbiamo iniziato questa campagna un paio di anni fa, quando era ormai diventato evidente che la realtà della Brexit non sarebbe stata né facile né buona per il nostro paese, eravamo visti come dei moderni prigionieri di guerra giapponesi che riemergevano anni dopo la fine della guerra pensando che il conflitto fosse ancora in corso. I parlamentari disponibili a parlare ai nostri comizi potevano stare tutti dentro a un taxi. La folla era poca, la copertura mediatica pure.

 

Sabato la storia era completamente diversa. C’è voluta la minaccia della Brexit per risvegliare il più grande movimento europeista d’Europa!

 

Alla marcia ho presentato un cortometraggio fatto con due ex premier, John Major e Tony Blair, su come era stata fatta la pace in Irlanda del nord, e sulla loro paura che la Brexit possa mettere a repentaglio quella pace. Si tratta di una sola, enorme questione tra molte altre che dovrebbe togliere di mezzo l’idea ridicola che l’accordo Johnson possa in qualche modo “get Brexit done”. 

  

Un’altra è il fatto che ancora non sappiamo che tipo di relazioni economiche avremo con l’Unione europea dopo l’uscita. Ma il fatto che Johnson abbia dovuto fare molte concessioni sull’Irlanda del nord – un confine nel mare d’Irlanda: lui e Theresa May avevano detto che nessun premier britannico avrebbe mai accettato una soluzione del genere – indica quanto sarà debole nelle prossime negoziazioni, quando tutto il nostro potere contrattuale sarà perduto visto che non faremo più parte dell’Ue.

  

Major e Blair hanno detto che tutta questa faccenda deve essere decisa dal popolo. La maggior parte del pubblico era d’accordo, e c’è anche la folla di sabato. Il Labour si è convinto a sostenere un secondo referendum. Altri partiti d’opposizione sono su questa posizione da tempo. Ma ancora non c’è una maggioranza per questa proposta.

   

L’unica argomentazione rimasta per la Brexit è quella democratica. Nessuno sostiene più che la Brexit ci porterà verso un futuro radioso e felice. “Abbiamo votato per questo e questo dobbiamo fare”. E’ tutto quel che rimane ai brexiteer.

   

Come si fa a portare l’argomentazione democratica di nuovo verso il popolo? Prima di tutto: cosa ci può essere di non democratico nel chiedere agli elettori di decidere? Secondo: la Brexit che c’è oggi è molto diversa dalla Brexit che era stata promessa. Terzo: il tempo passa. Quarto: in questo tempo che passa, due milioni di persone sono morte e due milioni di giovani sono diventati abbastanza grandi da poter votare. Quinto: ora abbiamo un accordo che il primo ministro, l’uomo che ha guidato la campagna per il leave, considera un buon accordo. Così abbiamo qualcosa di concreto da mandare avanti come Brexit, contro l’opzione di restare nell’Unione europea.

   

Potrei andare avanti, ci sono anche le bugie e i crimini e i misfatti della campagna, ma questa manciata di ragioni per il momento è sufficiente. Votare di nuovo non sarebbe antidemocratico, anzi: sono successe così tante cose dal giugno del 2016 che francamente sarebbe antidemocratico non tornare a votare.

   

Se è possibile avere un referendum, è difficile da dire. Alla fine della manifestazione, abbiamo proiettato un altro filmato, con la voce dell’attore Brian Cox, la storia di grandi campagne organizzate negli anni. Da brividi. Ecco la sceneggiatura.

   

“Tante delle cose che apprezziamo… tanti dei passi avanti che abbiamo fatto… sembravano impossibili, fino a quando non sono accaduti”.

  

“Il sistema sanitario nazionale era considerato una chimera. Hanno votato contro 21 volte. La battaglia è andata avanti. Fino a quando un voto finale ha fatto in modo che fosse possibile”.

 

“La pace in Irlanda del nord sembrava lo sbarco sulla Luna. Non sarebbe mai potuta accadere. Fino a quando alcuni leader coraggiosi hanno scommesso sulla pace. E le persone del nord e del sud hanno votato per il progresso”.

   

“Il voto alle donne… le unioni civili… la devolution per la Scozia e il Galles… i movimenti contro il fascismo e l’apartheid – spesso osteggiati dal potere, ma realizzati dal popolo”.

   

“Noi siamo arrivati e siamo stati in piedi insieme sotto la pioggia. Abbiamo marciato insieme. Abbiamo cantato insieme. E adesso lottiamo ancora. Per le nostre famiglie, per le nostre comunità. Per i nostri bambini”.

 

“È il momento del People’s Vote sull’accordo sulla Brexit. Perché tutto è impossibile… fino a quando non lo realizziamo”.

   

Questa frase finale è stata scritta nientemeno che da Nelson Mandela. Le sue parole dovrebbero essere fonte d’ispirazione per tutti coloro che si battono per qualcosa di utile. E per il popolo britannico vincere l’ultima parola sulla Brexit – non un’elezione che probabilmente non risolverà nulla, ma un referendum per verificare se, sulla base di quello che sappiamo, il paese vuole procedere – è una lotta che vale la pena di essere combattuta. Ed è una lotta che possono vincere quelli di noi che si oppongono alla Brexit. So che ci è stato ripetutamente detto che non succederà mai. Ma ci hanno anche detto, ancora e ancora una volta, che ce ne saremmo andati entro il 29 marzo. Non ce ne siamo andati. Theresa May se n’è andata. Ora ci viene detto, ancora e ancora una volta, che ce ne andremo entro il 31 ottobre. Il primo ministro (solo di nome) non smette mai di dirlo. Anche il suo governo. I giornali che animano la macchina delle bugie della Brexit diffondono il messaggio su scala industriale. Cento milioni di sterline di denaro pubblico sono stati spesi per dirci che il 31 ottobre ce ne andremo e che se lo facciamo siamo pronti – non lo siamo e non lo saremo.

   

Certo che vivo dei momenti di dubbio. Come evitarli se si considera che la follia della Brexit ci ha consegnato Boris Johnson come primo ministro in questo punto cruciale della nostra storia? Come non sentirsi scoraggiati dalle menzogne, dall’incompetenza, dalla mediocrità sua e della sua squadra? Ma è in questi momenti che dobbiamo prendere ispirazione da Mandela e da tutte le campagne del passato che, in così tanti momenti, sembravano impossibili.

    

Le campagne sono come gli eventi sportivi. Ci sono alti e ci sono bassi. Hai dei periodi in cui sei in forze e dei periodi in cui non lo sei. Hai momenti in cui le cose vanno secondo i piani, e altri momenti in cui non succede. Hai progressi inaspettati e battute d’arresto impreviste. Hai giocatori fortissimi che si presentano e si esibiscono, altri no. Hai una squadra di giocatori che emergono come stelle. Hai anche l’energia della folla. C’era un po’ di folla sabato. I politici la ignorano a loro rischio e pericolo.

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