Huawei e Cinque stelle, una storia d'amore e d'imbarazzi
Il sottosegretario Di Stefano salta l'inaugurazione del nuovo ufficio del gigante delle telecomunicazioni cinese a Roma, e al suo posto va la Raggi, folgorata dall'unica azienda che continua a investire nella Capitale. A che prezzo?
Roma. Difficile dire se ci sia un collegamento diretto tra l'inchiesta del Foglio sulle linee guida per i dipendenti di Huawei – l'azienda cinese, secondo le carte visionate dal nostro giornale, vieta ai dipendenti di esprimere “qualsiasi opinione politica”, e va da sé che gli argomenti più sensibili coincidano con quelli del governo di Pechino – e la difficile organizzazione dell'inaugurazione del nuovo ufficio di Huawei Italia a Roma che è avvenuta ieri, giovedì 24 ottobre, su via Laurentina, a poche centinaia di metri dall'altro quartier generale di un colosso delle telecomunicazioni cinese, Zte.
Una settimana fa, nell'invito ufficiale, era previsto, accanto al ceo di Huawei Italia Thomas Miao e all'ambasciatore cinese a Roma Li Junhua, un non meglio specificato “rappresentante delle istituzioni italiane”. Qualche giorno dopo arriva l'annuncio: all’inaugurazione dei nuovi uffici romani di Huawei, come rappresentante delle istituzioni italiane, ci sarà Manlio Di Stefano, sottosegretario al ministero degli Esteri. Per lui, addirittura, la cerimonia era stata anticipata di un'ora. Ma niente: mercoledì sera da Huawei fanno sapere che c'è un nuovo cambio d'orario per l'inaugurazione, e il nome di Di Stefano sparisce dalla lista degli ospiti. Nessuna comunicazione in merito, ma nelle stesse ore il sottosegretario grillino partecipa al convegno su Expo 2020 dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, quell'Ice che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha spostato dal Mise alla Farnesina.
Ieri, poi la sorpresa: all'inaugurazione si presenta la sindaca di Roma, Virginia Raggi.
Non un rappresentante di governo, quindi. E forse c'entra la nota della Casa Bianca che ha preceduto il viaggio negli Stati Uniti del capo dello stato, Sergio Mattarella, e che avrebbe dovuto essere un chiaro indirizzo sui rapporti “istituzionali” da tenere con le compagnie strategiche cinesi. L'Amministrazione americana soltanto una settimana fa insisteva sulla “minaccia alla nostra sicurezza nazionale, alla nostra privacy e alle nostre libertà” e citava direttamente l'iniziativa delle Smart City, che Huawei in questo periodo sta promuovendo in Italia con uno “Smart City Tour”: “Abbiamo visto la Cina utilizzare questo tipo di strumenti nello Xinjiang con efficacia, trasformando la provincia in un gigantesco stato di sorveglianza in cui gli individui non sono più liberi di lasciare le proprie case. E mentre guardiamo la Cina – e Huawei, in particolare – esportare la sua iniziativa Smart City, che consideriamo un'ambiguità per le città di sorveglianza all'estero, siamo fiduciosi che uno dei nostri più stretti alleati, come l'Italia, non voglia essere vittima di quel tipo di mercantilismo basato sul market”. E insomma la presenza di Di Stefano all'inaugurazione di Huawei avrebbe di sicuro alimentato un dibattito che pure è ancora molto superficiale, in Italia – mentre non lo è in Germania, per esempio, dove da giorni si parla di Huawei, da quando la cancelliera Angela Merkel ha deciso di non escludere a priori le aziende cinesi dal bando per il 5G, salvando il libero mercato dai pregiudizi statunitensi.
Ma una soluzione si trova sempre. E quindi all'inaugurazione dell'ufficio romano di Huawei si è presentata – non attesa, confermata all'ultimo momento solo a chi era già presente alla sede Huawei – Virginia Raggi. Sollecitata forse dai membri del suo stesso partito, che non volevano scontentare ulteriormente i vertici dell'azienda cinese. Perché Raggi aveva confermato la sua presenza anche alla tappa romana dello Smart City Tour di Huawei, prevista il 3 ottobre scorso. Ma poi a Roma era arrivato il segretario di stato americano Mike Pompeo, e sarebbe stato un ulteriore disastro diplomatico fotografare la sindaca nelle stesse ore in cui Pompeo, accanto a Di Maio, diceva che il 5G cinese “è una minaccia comune”. Per recuperare a quello sgarbo, la Raggi ieri si è presentata in via Laurentina, ha tagliato il nastro con l'ambasciatore cinese e il ceo di Huawei, e ha detto che “l’apertura dei nuovi uffici nella capitale dimostra che Roma è in grado di attrarre le aziende globali come Huawei che contribuiscono a creare nuovi posti di lavoro qualificati e rendono il territorio all'avanguardia nello sviluppo tecnologico, un fattore cruciale per il futuro del nostro paese”. Nuovi posti di lavoro, nuovi impiegati a cui è richiesto di non esprimere opinioni politiche. Il modello cinese, del resto, somiglia così tanto a quello di Casaleggio. Senza contare, poi, che Virginia Raggi deve molto a Huawei, una delle poche aziende che continua a mettere soldi sulla Capitale, nonostante tutto: “Grazie alla collaborazione con Huawei installeremo nuove telecamere a San Lorenzo e Piazza Vittorio, dopo quelle già presenti al Colosseo”, aveva detto Raggi ad aprile. Huawei è anche l'unico sponsor della storica maratona Roma-Ostia, che ora si chiama Huawei Roma-Ostia.