Trump: "Ci teniamo il greggio in Siria"
Il presidente degli Stati Uniti forse rimanda i soldati americani in Siria per usare i pozzi come carta nei negoziati
Roma. Da cinque giorni il presidente americano Donald Trump parla dei pozzi di petrolio in Siria e dice che non vuole cederne il controllo. “We have secured the oil”, abbiamo messo al sicuro il petrolio, dice su Twitter e in televisione, e lo proteggeremo. I pozzi del (poco) petrolio siriano si trovano nella zona di Deir Ezzor, quindi nell’est del paese controllato dalle milizie curde, ma nel settore sud – quindi molto lontano dal confine con la Turchia dove da giorni si combatte. Non è territorio curdo ma arabo, che i curdi hanno conquistato negli anni scorsi durante la campagna contro lo Stato islamico. In questo momento i pozzi sono in mano loro ma c’è anche un contingente ridotto di soldati americani e almeno uno dei siti, quello di al Omar, ospita una base militare americana (ricordate quando a febbraio un fotografo italiano fu ferito in prima linea? Gli americani lo evacuarono in elicottero da lì). E’ lo stesso sito che ospitava una base dello Stato islamico che le squadre della Delta Force americana attaccarono con un raid a sorpresa nel maggio 2015 per catturare Abu Sayyaf al Tunisi, un leader dello Stato islamico che dirigeva il contrabbando di greggio del gruppo terroristico. I soldati non riuscirono a catturare vivo il leader, vinsero uno scontro feroce con i terroristi – corpo a corpo – e in meno di un’ora risalirono sugli elicotteri e volarono via. Fu la seconda operazione americana nel cuore del territorio che allora era nemico.
I soldati americani hanno abbandonato la Siria ma secondo fonti militari c’era un piano per tenere nella zona dei pozzi circa duecento soldati delle forze speciali. Ieri però il settimanale Newsweek ha rivelato che – secondo una fonte del Pentagono – il contingente americano che dovrebbe fare la guardia ai pozzi potrebbe essere molto più numeroso, circa mezza brigata corazzata con trenta carri armati modello Abrams. In effetti il numero citato prima, duecento soldati, sembrava troppo basso per presidiare installazioni in un territorio infestato da molte presenze ostili – dalle milizie filoiraniane allo Stato islamico. Ma se lo scoop di Newsweek sarà confermato allora vuol dire che Trump ha tolto dalla Siria mille uomini per poi rispedircene duemila. Operazione “Blood for oil” l’ha battezzata il Daily Beast, rispolverando lo slogan (falso) contro la guerra in Iraq del 2003: “No blood for oil”. E’ come se non ci fosse una visione generale delle cose e le decisioni fossero prese giorno per giorno: Trump ordina il ritiro di mille soldati dalla Siria per “riportarli a casa”, invece poi vanno in Iraq “per continuare da lì la missione” ma il governo iracheno nega l’autorizzazione e nel frattempo si parla di farne tornare il doppio nella zona dei pozzi.
L’America, che è uno dei maggiori esportatori di greggio al mondo (a settembre è stato il primo), non vuole prendersi le esigue riserve siriane (meno dell’un per cento di quelle saudite) ma l’Amministrazione Trump considera quei pozzi un possibile oggetto di scambio con il regime siriano e la Russia. Inoltre vuole restare con i soldati in quella zona per minacciare gli iraniani, che in Siria operano come se fosse casa loro. Quanto sia un piano fattibile è da vedere. Ieri Trump scriveva su Twitter che i curdi dovrebbero spostarsi “verso il petrolio”: in pratica chiede loro di abbandonare il territorio dove vivono da centinaia di anni e di scendere a sud in territorio arabo, dove lo Stato islamico è molto presente, per intavolare negoziati con il regime siriano – che però non vede l’ora di impartire loro una lezione molto dura.