A Baghdad la piazza anti establishment è sciita e grida “Iran fuori, fuori”
La protesta è contro il potere filoiraniano che si è insediato quando l’America è uscita di scena e che costringe il paese alla povertà
Roma. In Iraq c’è una protesta populista molto forte che aggredisce l’establishment sciita e filo Iran, lo stesso che in questi anni si era comodamente piazzato al potere dopo la progressiva uscita di scena dell’America. Dopo una pausa di una decina di giorni per la festività sciita dell’Arbàin, ieri una massa di iracheni era di nuovo in piazza a gridare “Iran barrà barrà!”, fuori fuori l’Iran, che è considerato il grande protettore dei politici inefficienti che loro vorrebbero cacciare. E il dato importante è che questi iracheni in strada sono sciiti, quindi in teoria dovrebbero stare dalla stessa parte del governo. Molti vengono dagli slum di Sadr City, il quartiere dormitorio nella parte est di Baghdad che è una zona dove la coalizione sciita al Sairun è andata fortissimo alle ultime elezioni nel 2018. Ma è arrivato il 2019 e la gente è stanca: di ricevere razioni alimentari avariate in un paese con enormi riserve di greggio, di non vedere una ripartenza economica anche se la guerra contro lo Stato islamico è finita ormai da un anno, di comprare merci iraniane in un paese guidato da politici protetti dall’Iran e di una classe dominante che spedisce i figli a vivere in Europa e in America – e quelli si fanno selfie che fanno il giro del mondo in un secondo.
Il primo ministro che fronteggia queste proteste è Adil Abdul Mahdi, economista ed ex ministro del petrolio, uno che è andato al liceo dai gesuiti americani di Baghdad e ha passato gli anni dell’esilio quando c’era Saddam a fare partitismo sciita a Parigi. Credeva che il suo potere fosse più solido. Quando gli americani provarono nel 2005 a esportare un modello democratico in Iraq le elezioni divennero subito un modo per trasferire dentro al Parlamento il rapporto di forza religioso ed etnico che c’è fuori: maggioranza sciita a fare blocco dominante, minoranza sunnita a tirare avanti, qualche curdo. Ecco, questo schema si sta rompendo, l’appartenenza religiosa non basta più – soprattutto a queste condizioni. Come succede anche in Libano.
“Ya Adil uein al qannasa?”, ehi Adil dove sono i cecchini, cantavano ieri in piazza. Il riferimento è al fatto che alcuni cecchini appostati sui tetti hanno sparato contro i manifestanti nelle strade durante i primi giorni di ottobre, hanno mirato alle teste e ai petti e hanno ucciso centocinquanta persone – una notizia che è andata quasi persa sui media internazionali come gli iracheni hanno notato benissimo. Sono comparsi al terzo giorno di proteste e il bilancio da sei morti è salito in poche ore a cinquanta. Reuters con uno scoop ha scoperto che i cecchini responsabili del massacro appartengono a una milizia filoiraniana. Alcuni testimoni hanno detto al sito al Monitor che la milizia sarebbe la Saraya al Khorasani, vale a dire uno dei pochi gruppi armati iracheni che rivendicano apertamente l’appoggio dell’Iran. La base della Saraya è un complesso di lusso del settore est di Baghdad usato come residenza anche da molti ministri e parlamentari e il suo logo stilizzato ricalca quello delle Guardie della rivoluzione, il corpo armato dell’Iran. Altri, ma nel caos delle proteste circola ogni genere di voce inverificabile, dicono che tra i cecchini ci fossero direttamente alcuni iraniani. Ieri in Libano il gruppo Hezbollah, che è finanziato e armato dall’Iran, ha attaccato le piazze dove i libanesi protestano in massa contro le tasse e il governo. All’Iran non piacciono le masse che mettono in discussione i governi alleati.
I centocinquanta morti di Baghdad per ora restano in un limbo strano, nessuno se ne prende la responsabilità ma la questione non può sparire. Il primo ministro aveva promesso che alla protesta di ieri nessuno si sarebbe fatto male, invece sono morti in due e ci sono stati lacrimogeni, getti d’acqua e proiettili di gomma – i cecchini però non si sono fatti vedere.