Alberto Fernández (foto LaPresse)

L'altro Fernández

Eugenio Cau

Il nuovo presidente argentino proverà a rendersi indipendente dalla sua madrina peronista

Milano. Fino a cinque mesi fa, Alberto Fernández era un burocrate argentino che apparteneva a un’epoca passata. Era stato capo del gabinetto dei ministri, carica simile a quella di primo ministro, sotto al presidente Néstor Kirchner tra il 2003 e il 2008; aveva lavorato bene ma non aveva lasciato un ricordo affettuoso, anche perché l’Argentina è una repubblica presidenziale forte e tutti gli onori sono del capo dello stato. Se n’era andato in disaccordo con Cristina Fernández de Kirchner, la moglie di Nestor che gli era succeduto dopo che lui era morto per arresto cardiaco. A quel punto, Alberto Férnandez si era trasformato in un personaggio secondario, aveva assunto incarichi minori e sempre dietro alle quinte, o non ne aveva assunti affatto. Se riemergeva sulle pagine dei giornali era per criticare Cristina Fernández de Kirchner, populista peronista, che ha servito due mandati alla presidenza, ha mandato in malora la già poco sana l’economia argentina con nazionalizzazioni e sussidi generalizzati e nel 2015 si è fatta battere dal liberale Mauricio Macri. Alberto Fernández, a suo tempo, arrivò a dire che la presidenza di Cristina era stata “patetica”.

 

Poi tutto è cambiato cinque mesi fa, il 18 di maggio, quando Cristina Fernández de Kirchner, con un video lungo 12 minuti, ha annunciato di aver scelto Alberto Fernández come candidato presidente del movimento peronista. Lei sarebbe stata vice. “Ho chiesto ad Alberto Fernández”, dice usando la prima persona, per far capire di chi è l’iniziativa. I due si erano riavvicinati da qualche mese, Alberto aveva partecipato alla promozione dell’ultimo libro di Cristina, un memoir politico di quelli che preannunciano una ricandidatura. Invece, Cristina ha candidato Alberto, che secondo i media argentini aveva avuto soltanto pochi giorni di preavviso per dire sì. Passano cinque mesi e il burocrate è eletto presidente dell’Argentina.

 

Ci sono molti elementi da considerare in queste elezioni. Due su tutti: la tenuta di Macri, che in pochi mesi ha recuperato un distacco del 16 per cento riducendolo di quasi dieci punti e che adesso potrà fare un’opposizione serrata, e il riconoscimento pacifico del risultato elettorale, con i due candidati che si sono impegnati a dare un’impressione di continuità istituzionale e fair play davanti agli occhi dei mercati (non era andata così la volta precedente). La domanda che tutti si pongono però è una: Alberto Fernández sarà una marionetta nelle mani della sua vicepresidenta? Molti indizi fanno pensare che sì. Lui stesso, in campagna elettorale, ha detto che lui non avrebbe “mai più” litigato con Cristina, e ha detto: “Cristina e io siamo una cosa sola”. E’ per questo che Fernández è stato scelto: il suo carisma personale è quasi nullo ma il pubblico ama la sua immagine di vicino di casa cordiale che fa un account Instagram al suo cane (si chiama Dylan e ha quasi centomila follower). Sarebbe un peccato se Alberto Fernández si rivelasse un mero esecutore di ordini populisti. Tra i peronisti è uno dei più ragionevoli, ed è vero che, come lui ha ripetuto in continuazione in campagna elettorale, i suoi cinque anni da capo di gabinetto sono stati gli unici in cui l’Argentina non ha fatto deficit.

 

Ci sono tuttavia alcuni indizi che lasciano tradire una certa indipendenza: durante la campagna elettorale Cristina, che è un personaggio tossico e polarizzante, è stata tenuta a distanza in molti eventi; in questi cinque mesi, inoltre, gli elettori hanno sviluppato una certa affezione per Fernández, che potrebbe trasformarsi nell’inizio di una piattaforma politica personale. Nel sistema argentino, infine, il presidente ha pochissimi contrappesi, e il suo vice non è uno tra questi. Se Macri saprà esprimere una forte opposizione liberale in Parlamento e se Alberto Fernández saprà rendersi almeno in parte indipendente, quel gran disastro che è il ritorno dei peronisti in Argentina potrebbe essere un po’ meno pericoloso. 

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.