Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Il castrismo delle buone scuole

Giuliano Ferrara

Il keynesismo in gilet ha rafforzato la Francia. Con Corbyn sarà più dura

Jeremy Corbyn, leader del Labour, deve tirarsi fuori dal pasticcio di essere il capo dell’opposizione più impopolare della storia, e per questo rimette a nuovo la linea di sinistra che nel 2017 lo aveva portato contro Theresa May al 40 per cento, nella sorpresa generale, e la sposta ancora più a sinistra. Già vuole espropriare il 10 per cento del capitalismo e darlo al popolo sofferente, the many not the few, poi vuole che i padroni di casa vendano per legge sottocosto gli appartamenti a chi li abita, e così si cura la bolla speculativa immobiliare, infine, wow!, se la prende direttamente con i ricchi, nominandoli uno per uno, e facendone le teste di turco di un grande gioco demagogico-socialista nei suoi primi comizi elettorali. Non gli importa se Boris Johnson lo sfotte come emulo di Fidel Castro, anzi, ne gode, e vorrebbe essere paragonato a Hugo Chávez. Hugh Grosvenor, il 7° duca di Westminster, 28 anni, vuole sfrattare gli inquilini a basso fitto della Walden House per fare business, e anche se propone soluzioni alternative e procede a quanto sembra gradualmente, ecco, è lo squalo giusto per i many che soffrono il problema abitativo da additare al pubblico disprezzo.

 

 

Mike Ashley è diventato billionaire con gli articoli sportivi, va su e giù in borsa, Corbyn lo accusa di non pagare appropriatamente lo staff aziendale e di avere rovinato il Newcastle, appena acquisito con appetito divoratore. Jim Ratcliffe, settore chimica e petroli, l’uomo più ricco della Gran Bretagna, è “uno che fa soldi distruggendo l’ambiente”. Crispin Odey è un hedge fund manager, un finanziere borderline, che secondo il castrista di Westminster scommette speculativamente contro l’interesse nazionale del paese e finanzia BoJo e i Conservatori (in effetti Odey ha tifato per la Brexit, e la mattina dei risultati ha confessato in tv di averci guadagnato parecchio con una campagna ribassista contro la sterlina, dicendo “il mattino ha l’oro in bocca”, non proprio un patriota). Infine ovviamente Rupert Murdoch, il tycoon dei tycoon, l’uomo che per Corbyn pompa propaganda a difesa di un capitalismo truffaldo da scuotere e trasformare con i mezzi più radicali e più spicci che esistano.

 

  

A quanto pare i gilet gialli, con la loro violenza non solo verbale, hanno fatto bene all’economia francese, che dall’aumento del potere d’acquisto seguito alla loro rivolta e alla svolta di Macron ha tratto benefici nella crescita e dinamizzazione dei mercati, combinati paradossalmente con un decremento della disoccupazione nato dalla legislazione flessibile neoliberale delle ordonnance. Il beneficio del socialismo di ritorno alla Corbyn è che tutti i petulanti critici del capitalismo com’è, che si affollano nei convegni e nei seminari della bella e ricca gente della finanza progressista internazionale, si prenderanno per lo meno uno spaghetto, e si metteranno da soli la mordacchia. Il capitalismo contro cui Corbyn dice di combattere non è un sistema arretrato e malato, anche questo, certo, è sopra tutto il sistema in sé, senza se e senza ma. E il bello (per così dire) della sua battaglia forsennata è che almeno non ha la tonalità bassopopulista della campagna contro la casta, non è un’invenzione dei capitalisti per cavarsela di nuovo a spese della politica, della democrazia rappresentativa e dello stato, come hanno sempre cercato di fare (per lo meno qui da noi). Lui non vuole tosare la pecora, vuole sostituirla con un altro animale di mercato, gestito dallo stato. Due anni fa fece campagna, rileva il Financial Times, cercando di dimostrare che stava nei limiti europei della classica socialdemocrazia. Ora è cambiato. Quei limiti li supera in modo spettacolare, e dà la caccia ai ricchi, che certo spesso non hanno un profilo tenero e conciliante. Il keynesismo da gilet giallo ha fatto la sua corsa con buoni risultati, vediamo che corsa farà, e se darà risultati e quali, il castrismo delle buone scuole.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.