Il rapporto sospeso sulle interferenze russe nel referendum sulla Brexit
Il governo di Londra non vuole pubblicare l’esito dell’indagine della commissione Intelligence e Sicurezza del Parlamento. Sospetti, dicerie e un alibi
Milano. Pubblicate quel rapporto, dicono esperti, commentatori, politici, persone informate dei fatti. No, risponde il governo britannico, non ci basta il tempo per verifiche e controlli adeguati: se ne parla dopo le elezioni. Il rapporto in questione è stato redatto dalla commissione Intelligence e Sicurezza del Parlamento inglese, è stato concluso nel marzo scorso, passato al governo il 17 ottobre scorso e ora fermo a Downing Street: parla delle interferenze russe nel referendum del 2016 sulla Brexit e dei rapporti tra emissari russi e i leader della campagna per il leave che, come si sa, era divisa in due parti, una faceva capo a Nigel Farage (Leave.Eu) e una al Partito conservatore (Vote Leave). L’attuale premier, Boris Johnson, era uno dei leader del Vote Leave e sarebbe stato coinvolto in alcuni incontri, mentre uno dei suoi ministri, Michael Gove, ha già detto in passato di essere al corrente del fatto che, negli ultimi giorni della campagna referendaria, il Vote Leave aveva violato alcune norme sul finanziamento del gruppo, come evidenziato anche dalla Commissione elettorale. Nell’indagine è anche coinvolto Dominic Cummings, la “mente” del Vote Leave, che ora è il principale consigliere di Johnson a Downing Street.
Lord Evans of Weardale, ex direttore dell’MI5, l’agenzia che si occupa della sicurezza interna, ha detto ieri che il rapporto andrebbe pubblicato, “se il governo ha una motivazione valida per non renderlo pubblico, dovrebbe dire qual è”. Dominic Grieve, parlamentare conservatore che presiede la commissione, ripete che le motivazioni fornite dal governo – la necessità di controlli, un processo complesso – non sono credibili: le agenzie di sicurezza hanno già dato la loro approvazione, non ci sono temi di ordine pubblico o interesse nazionale da tirare fuori. La giustificazione di Downing Street è “una fesseria”, ripete Grieve aggirandosi incredulo nelle trasmissioni televisive.
Ieri era l’ultimo giorno disponibile per la pubblicazione: il Parlamento è stato dissolto alla mezzanotte e quindi si dovrà aspettare il prossimo. La mancanza di trasparenza da parte del governo ha scatenato ogni genere di sospetto e diceria, cavalcati dai partiti all’opposizione che vedono in questa mossa l’ennesima dimostrazione della poca affidabilità di Johnson e soprattutto dell’incapacità del governo conservatore di riconoscere e affrontare le interferenze russe nella politica inglese. Nel frattempo, ha raccontato il Guardian, sono emerse altre prove di come il Cremlino abbia tentato di infiltrare il Partito conservatore con un diplomatico russo sospettato di spionaggio che ha trascorso cinque anni a Londra coltivando rapporti con i Tory, incluso lo stesso Johnson. Sergey Nalobin, nel 2014, aveva partecipato a un evento di raccolta fondi esclusivo organizzato dai Tory, si era fatto fotografare con Johnson e, postando l’immagine su Twitter, lo aveva definito “un buon amico” che ha detto “parole benevolenti” nei confronti della Russia. Nalobin ha partecipato alla creazione di un gruppo chiamato Conservatori amici della Russia che ha organizzato feste nell’ambasciata russa cui avevano partecipato anche Dom Cummings e Carrie Symonds, ora fidanzata di Johnson (allora era soltanto una sostenitrice dei conservatori).
In questi incontri non c’è nulla di illegale, allora poi buona parte di queste relazioni non suonavano nemmeno inappropriate: abbiamo imparato, in questi anni di ricostruzioni e di scandali più o meno grandi relativi ai rapporti tra Russia e politici occidentali, a imbatterci in emissari russi poco noti e in relazioni al confine tra amicizie, favori, richieste, ambizioni. Ma il punto è proprio questo, nel Regno Unito che si affaccia su un’altra elezione e in altri paesi, dall’America all’Italia: i confini sono molto laschi e oscuri, per levare ogni dubbio basterebbe pubblicare le inchieste – che tra l’altro sono durate per molto tempo: nel caso inglese sono cinquanta agili pagine – e rispondere in modo puntuale alle domande. Scegliendo invece di non rendere pubblico il rapporto, il governo ha alimentato il sospetto che ci sia, nell’indagine, qualcosa di veramente esplosivo – ma se ne parli vieni spesso tacciato di russofobia. Lo schema lo conosciamo, è già stato abbastanza chiaro in America prima e dopo le elezioni del 2016. Ma oggi, un sottosegretario agli Esteri del governo inglese, Chris Pincher, non sa rispondere alla domanda: il premier ha letto il rapporto?, e dice che il ritardo è dovuto al fatto che Johnson era occupato con la Brexit, che si conferma l’alibi perfetto per ogni mancanza di responsabilità britannica.