La Bolivia di nessuno
Con le dimissioni, Evo Morales ha bloccato i suoi e anche l’opposizione. Il doppio golpe, ma senza militari
Roma. “Chi è il capo dello stato in questo momento in Bolivia? Nessuno!”. A spiegarci cosa succede con le dimissioni di Evo Morales è Cecilia Requena Zarate, storica ecologista e senatrice di La Paz per l’opposizione, eletta con il voto che lo stesso Morales ha annullato prima di dimettersi. Dunque, non è mai entrata in carica, ma come Cecilia Requena Zarat, neppure i deputati e i senatori uscenti ci sono più. Morales con le dimissioni ha creato una situazione di vuoto, non c’è più il vecchio, ma neppure il nuovo. Nel frattempo, malgrado le voci della stampa internazionale che lo davano in Argentina, il presidente dimissionario sarebbe rimasto in Bolivia, sarebbe andato nella regione di Chapare, che è la sua roccaforte perché sede del movimento di piccoli coltivatori di coca di cui era stato leader, iniziando così la sua carriera politica.
“Morales potrebbe non essersene ancora andato perché cerca di riprendere il potere. Sta giocando al colpo di stato, e intanto sta minando tutte le possibilità costituzionali dell’opposizione”, dice Zarate. Morales avrebbe tentato di imporre un doppio golpe, ma senza assicurarsi l’appoggio di militari e poliziotti. “Voleva mostrarsi come la vittima di un golpe civico, poliziesco e politico. Non militare. La verità è che tutto è successo grazie a un’azione pacifica della cittadinanza in strada”. Secondo la senatrice, “l’opposizione sta cercando di togliere ogni sospetto sul fatto che si tratti di un golpe. Ma dopo il presidente, ha rinunciato anche il vicepresidente Álvaro García Linera. Poi la presidente del Senato. Poi il presidente dei deputati. Stanno rinunciando deputati e senatori in massa” e degli uomini di Morales non sta rimanendo più nessuno dentro alle istituzioni. Non solo si dimettono, ma scappano. Stando a quel che dice il governo messicano, almeno una ventina dei suoi sodali avrebbe chiesto asilo in ambasciata. “Adesso la procedura prevedrebbe che la lettera di dimissioni di Evo Morales sia presentata all’Assemblea legislativa e che quest’ultima le accetti e che poi convochi nuove elezioni sotto autorità provvisorie. Ma come si fa se l’Assemblea non c’è più?”, di domanda Zarate.
“Sono gli stessi movimenti cittadini a occuparsi delle istituzioni in questo momento. I Comitati civici presidiano la Piazza centrale di La Paz e cercano di impedire che qualcuno occupi la sede dell’Assemblea legislativa o che la vandalizzi – spiega la senatrice – E’ come se la gente stesse proteggendo quelle istituzioni che adesso sono vuote, per armare una alternativa costituzionale”. Insomma, uno scenario per certi versi sconcertante e per altri epico. “Sì. Sembra la caduta del Muro di Berlino! O la rivolta contro Ceaușsescu. La gente in piazza festeggia”, di dice Zarate. Dalla cornetta del telefono si sentono canti, clacson, fuochi artificiali.
In realtà, Morales non avrebbe potuto ricandidarsi dopo che al referendum del 21 febbraio il 51,3 per cento dei votanti aveva detto no alla modifica dell’articolo della Costituzione che gli vietava un ulteriore mandato. Ma il 21 novembre 2017 fece sentenziare dal Tribunale costituzionale plurinazionale che il diritto all’elettorato passivo contenuto nella Convenzione americana dei diritti umani prevaleva su Costituzione e voto degli elettori. Poi, dopo che i primi conteggi del voto del 20 ottobre lo davano al ballottaggio con Carlos Mesa, lo scrutinio è stato misteriosamente sospeso e quando è ripreso ha dato la vittoria a Morales al primo turno. Di fronte alla protesta, il presidente ha acconsentito ad affidare all’Organizzazione degli stati americani (Osa) un riconteggio vincolante e domenica l’Osa ha sentenziato che c’erano stati brogli massicci, chiedendo la ripetizione del voto con un nuovo tribunale elettorale. Venerdì la polizia aveva iniziato ad ammutinarsi: le violenze aumentano e sembra che anche i poliziotti fossero furibondi per gli stipendi troppo bassi. Dopo il responso dell’Osa, Morales ha offerto nuove elezioni e ha aperto a delle trattative con l’opposizione. Ma ormai era troppo tardi. “L’ammutinamento della polizia è stato fondamentale perché ha tolto alla gente la paura della repressione”, conferma Cecilia Requena Zarate. “E’ stata la presenza dei cittadini in piazza per 20 giorni a essere fondamentale. Anche movimenti sociali di base come minatori e cocaleros hanno chiesto le dimissioni di Evo Morales, non solo la classe media. La stoccata finale c’è stata quando i militari hanno detto: ‘non reprimeremo’. Evo Morales aveva cercato di portare le sue basi dalla campagna alla città per affrontare la protesta, invece la gente è venuta dalla campagna per appoggiare la democrazia”. Zarate è quasi commossa. “Non riesco quasi a credere a tutto quello che è successo in queste ore. Una implosione del regime”.