Macron e l'interesse europeo
Le frasi del presidente francese sulla Nato come una rivoluzione copernicana. Reazioni, malumori, fastidi e quella domanda cruciale: possiamo ancora fare conto sull’America?
L’intervista all’Economist di Emmanuel Macron non è stata presa bene: il solito presidente francese, s’è detto, che sputa sentenze – “la Nato è in uno stato di morte cerebrale” – e difende soltanto il proprio interesse, in contrasto con quello collettivo. Ma davvero Macron voleva celebrare la via francese a discapito di quella europea? L’articolo del magazine britannico inizia dicendo che, nella sua recente visita in Cina, Macron ha voluto mostrare “un volto unico dell’Europa”: ha portato con sé un commissario europeo irlandese, un ministro e alcuni imprenditori tedeschi e “in un discorso sul commercio, ha delineato le sfide in corso in un’ottica europea, citando raramente la France” (il corsivo è loro). Il punto di partenza e di arrivo di Macron è l’Europa e una politica “pan-europea”, come la definisce l’Economist. Allora perché prendersela con la Nato? Perché l’Alleanza atlantica, la madre di tutte le alleanze, dipende fortemente dal rapporto con gli Stati Uniti, e l’allarme fatto suonare dal presidente francese riguarda proprio questo: il rapporto con l’America in una stagione in cui l’America non ha più uno sguardo benigno sull’Europa. In questo senso, l’appello di Macron è un passo successivo a quello della cancelliera tedesca, Angela Merkel, che dopo l’elezione di Donald Trump disse: rimbocchiamoci le maniche, perché in questo nuovo mondo noi europei siamo più soli.
“Guardiamo a quel che sta accadendo attorno a noi – dice Macron all’Economist – Cose che erano impensabili cinque anni fa. Il logorio della Brexit, le difficoltà dell’Europa ad andare avanti, l’alleato americano che ci volta rapidamente le spalle su questioni strategiche: nessuno credeva che tutto questo sarebbe stato possibile”. L’Europa “è sull’orlo di un precipizio, se non ci svegliamo, c’è un rischio considerevole che nel lungo periodo possiamo scomparire geopoliticamente parlando, o che non avremo più il controllo del nostro destino”. Per “la prima volta ci ritroviamo con un presidente americano che non condivide l’idea che abbiamo noi del progetto europeo”: Macron cita una delle frasi più terribili che ha detto Trump, quando ha dato il via libera al ritiro americano e all’ingresso delle forze turche in Siria. I prigionieri dello Stato islamico che ritornano in libertà nel caos del ritiro “scapperanno in Europa”, ha detto Trump, e quando il presidente dice alla Francia “è il vostro confine, non il mio”, quel che dobbiamo capire noi, sottolinea Macron, è: “Sveglia!”. L’America ci volta le spalle, la Cina è in ascesa, i leader autocratici sono alle porte dell’Unione europea: il risultato è “una fragilità eccezionale dell’Europa, che se non pensa a se stessa come a una potenza globale, scomparirà”.
Questa è la lunga premessa che porta il presidente francese a parlare della Nato, non in termini di un’opa della Francia sulla difesa europea, ma come conclusione di un’analisi sullo stato delle relazioni tra l’Europa e gli Stati Uniti. Riferendosi al ritiro americano in Siria, Macron dice che stiamo “sperimentando una Nato in stato di morte cerebrale. Non c’è alcun coordinamento nel processo decisionale strategico tra gli Stati Uniti e la Nato. Nessuno. C’è un’azione aggressiva non coordinata da parte di un altro membro della Nato, la Turchia, in un’area in cui ci sono i nostri interessi in gioco”. Vuol dire che l’articolo 5 – il fondamento della deterrenza della Nato che prevede che se uno stato dell’Alleanza è sotto attacco gli altri intervengono in suo aiuto – è ancora funzionante?, chiede l’Economist. “Non lo so – risponde Macron – Ma che significato avrà l’articolo 5 domani?”. Il messaggio è brutale, spiega il magazine britannico: l’Europa deve smettere di pensare che stiamo attraversando una “anomalia storica”, e iniziare a chiedersi se la Nato è utile agli obiettivi che si è posta. Il dibattito non è di oggi, ma è urgente.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto nel suo discorso di celebrazione del trentennale della caduta del Muro di Berlino che la Nato è “un eccellente scudo di protezione per la libertà”: “Nei suoi 70 anni di storia, molte cose sono cambiate nella Nato. Ma una cosa è sempre rimasta uguale: l’Alleanza è quel che i suoi stati membri ne fanno”. Non è un’entità astratta, insomma, ogni stato può e deve fare la differenza, dice la von der Leyen. Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha scritto che Berlino “sta lavorando a gran velocità con la Francia su un’Europa che cooperi in modo sempre più fattivo sulla sicurezza”, ma non a discapito della Nato: “Secondo la Germania, sminuire la Nato sarebbe un grave errore – ha scritto Maas – Senza gli Stati Uniti, né la Germania né l’Europa sono nella posizione di potersi difendere in modo efficace da sole”. Sarebbe “irresponsabile”, dice Maas, perseguire una politica di sicurezza senza l’America, separarci, “avremo bisogno della Nato per molti altri anni, e dobbiamo volerla, la Nato”, anche per proteggere quegli stati che più sono esposti alla minaccia dell’est. Per questo il ministro degli Esteri tedesco propone l’idea di un Consiglio di sicurezza europeo – un’idea che era francese.
Vista da vicino, la querelle sulla Nato sembra più una necessità di posizionarsi nel dibattito in modo autonomo rispetto alla Francia, ma nei fatti la consapevolezza delle difficoltà nei confronti dell’alleato americano è comune, almeno in Germania. La Polonia, tramite il suo premier Mateusz Morawiecki, è molto più dura, perché sente addosso l’oppressione dell’orso russo, ma insinua che il problema della Nato non sia l’America, bensì proprio la Francia: le parole di Macron sono “pericolose”, ha detto il premier polacco al Financial Times, e se l’Alleanza è debole è anche perché Parigi non mette a disposizione il 2 per cento del pil, come richiedono le regole (e come richiede Trump). A preoccupare Varsavia però non è tanto lo stato cerebrale della Nato, quanto quello che Macron ha detto nella seconda parte della sua intervista: il “riavvicinamento nei confronti della Russia”. Il principio ispiratore del presidente francese è questo: gli stati autocratici sono più pericolosi quando sono isolati. Per questo dice che trovare un terreno comune con la Russia è necessario, anche se ci vorranno “dieci anni”, ma non farlo sarebbe “un errore enorme”: Macron non vuole togliere le sanzioni a Mosca e anzi vuole che il processo di pace di Minsk in Ucraina venga rispettato e implementato. Riavvicinarsi non significa cedere, così come dialogare con i cinesi bevendo ottimo Bordeaux non significa svendere infrastrutture del sud Europa a Pechino – anzi questo è “stupido” – ma definire le regole di ingaggio per la propria relazione futura. In questo discorso, Macron non parla mai di Francia ma sempre di Europa, dice che “il genio diplomatico della Cina è approfittare delle nostre divisioni per indebolirci”, che è lo stesso genio della Russia – da molto tempo – e che rischia di essere anche (e qui fa molto più male) quello dell’America. L’Europa rischia di ritrovarsi stritolata se non costruisce e difende una “sovranità europea” che permetta al continente di operare in modo autonomo e unito a livello globale. Su tutti i fronti: un Consiglio di sicurezza europeo può funzionare soltanto se c’è una politica estera europea – le dichiarazioni di queste settimane del prossimo Alto rappresentate, lo spagnolo Josep Borrell, non sono affatto rassicuranti – che può essere incisiva se esiste una difesa europea. Il punto di partenza e di arrivo è sempre l’Europa con la sua unità, ed è questo che voleva dire, con il suo tono urticante, Macron. Che ha anche difeso la decisione di bloccare l’allargamento a est dell’Ue: finché la casa non è in ordine non s’invita nessuno a entrare. Il presidente francese dice che almeno “metà” degli stati dell’Ue la pensa come lui, ma si nasconde dietro il brutto muso della Francia. Le critiche sul no all’allargamento hanno infastidito molto Macron, che si anima quando dice di essere stato il parafulmine con l’Albania e la Macedonia del nord, ma l’obiettivo di questa conversazione con l’Economist non era la diagnosi delle malattie europee. Macron aveva detto già nel suo ispiratissimo discorso all’Europarlamento nella primavera del 2018: “Non voglio appartenere a una generazione di sonnambuli che ha dimenticato il proprio passato e i tormenti del proprio presente. Voglio appartenere a una generazione che avrà deciso di difendere la propria democrazia”. Macron non vuole che l’Europa muoia nel sonno, e ancor prima di spiegare come pensa di evitare la morte dice: sveglia.