Populisti in cerca di cravatte
Dopo un’elezione inutile, Pedro Sánchez si butta tra le braccia di Podemos. Tendenze europee
Milano. Quando Pedro Sánchez, alla fine della conferenza stampa, si è rivolto verso Pablo Iglesias per stringergli la mano e questi invece l’ha abbracciato inaspettatamente, con il sorriso dello sposo novello, per un secondo è sembrato che il rumore degli otturatori delle fotocamere si interrompesse. I giornalisti che erano presenti, un po’ sorpresi e un po’ divertiti, hanno lanciato gridolini, nel video si sente distintamente un “Oooohhhh” come ai matrimoni quando gli sposi si baciano per la prima volta davanti a tutti. Alla fine dell’abbraccio, che è durato un paio di secondi, Iglesias sorrideva ancora, con gli occhi abbassati, Sánchez aveva le mascelle serrate, che è il suo tic abituale quando è nervoso. Questo abbraccio, probabilmente, segna l’inizio di un nuovo governo in Spagna. Un governo alla portoghese o, per dirla meglio, all’italiana, con il principale partito della sinistra che, dopo anni di dinieghi e rivalità, decide alla fine di allearsi con la sinistra radicale e populista.
Questo abbraccio è tanto più inaspettato perché Pedro Sánchez, presidente del governo facente funzioni e leader del Partito socialista (Psoe), per mesi si era negato a Iglesias, leader di Unidas Podemos (Podemos per gli amici), nonostante le sue insistenze. Piccolo riassunto: dopo le elezioni di aprile di quest’anno, vinte dal Psoe senza la maggioranza, apparve chiaro a tutti che l’unico governo fattibile era con Podemos. Per tutta la campagna elettorale primaverile Iglesias aveva invocato un governo di unione progressista, ma Sánchez era tiepido, lui avrebbe preferito i centristi di Ciudadanos. Ad aprile, un governo Psoe-Podemos era complesso ma fattibile: i due partiti non avevano la maggioranza ma gli appoggi erano facili da ottenere, e le rispettive piattaforme sono piuttosto vicine specie sui temi economici. Ma Sánchez ancora una volta si negò. Seguì un’estate di incontri, riunioni e abboccamenti. Sánchez disse che avrebbe fatto l’accordo con Podemos, ma che non voleva Iglesias al governo. Iglesias si fece da parte. Poi disse che non voleva nessuno di Podemos al governo, meglio un appoggio esterno per un esecutivo di minoranza, e quelli di Podemos si arrabbiarono. Sánchez si ricredette, offrì ministeri ai podemiti, ma alla fine, dopo un tira e molla straziante, i negoziati si interruppero. Sánchez si lasciò convincere da certi sondaggi che davano il Psoe in ascesa, e portò il paese a nuove elezioni, dicendo che se avesse fatto un governo con Podemos non avrebbe potuto dormire tranquillo. E’ andata al contrario dei suoi piani: Sánchez ha fatto la campagna elettorale nel terrore di sondaggi che davano le sinistre in calo e le destre (specie quella estrema di Vox) in ascesa, e alle elezioni di domenica ha tirato un gran sospiro di sollievo quando il suo Psoe ha perso soltanto tre seggi alle Cortes (Podemos ne ha persi sette).
A quel punto, ammaccato dalla sua scarsa lungimiranza strategica ma superstite, Sánchez non ci ha nemmeno provato, a fare un governo di ampie coalizioni: i retroscenisti politici spagnoli hanno scritto che Pablo Casado, leader del Partito popolare, ha chiamato Sánchez dopo le elezioni ma lui non ha voluto rispondere. È corso invece da Iglesias, che l’ha accolto a braccia aperte, come si è visto. Ieri i due leader hanno firmato un preaccordo di governo: un documento di due paginette con dieci punti molto laschi per “formare un governo progressista di coalizione”. Nel documento si parla di crescita e creazione di impiego, di lotta alla corruzione, di causa femminista e di “dialogo” in Catalogna. Iglesias ha fatto notevoli concessioni programmatiche, e ha accettato che dal documento rimanessero fuori alcuni dei temi centrali ed estremisti della piattaforma di Podemos, come l’abolizione della riforma del mercato del lavoro e tariffe calmierate per gli affitti e per l’energia. Ma la concessione più grande è quella di Sánchez, che ha accettato Iglesias come suo vicepresidente, rinnegando tutto quello che aveva detto in campagna elettorale sull’estremismo e l’impreparazione della classe dirigente di Podemos.
Nonostante gli abbracci, per i due leader andare al governo non sarà facile. Sia Psoe sia Podemos sono più deboli di quanto non fossero due mesi fa, e tra tutti e due arrivano a 155 seggi in Parlamento. Per ottenere la maggioranza ne servono 176, e questo significa che dovranno imbarcare nell’esecutivo una pletora di partitini regionali e di varia estrazione, compreso quello degli autonomisti baschi. Il País ha fatto un elenco dei probabili: Más País, Pnv, Prc Bng e Teruel Existe. Inoltre la coalizione progressista avrà bisogno che in fase di voto di fiducia (in seconda votazione, quando la maggioranza assoluta non è più necessaria) ulteriori partiti si astengano. Potrebbe farlo Ciudadanos, il partito centrista uscito mezzo morto dopo le elezioni, ma la leadership decapitata ha già detto di no. A quel punto Sánchez e Iglesias dovranno affidarsi agli indipendentisti catalani di Erc e agli indipendentisti baschi di Bildu, e questo significa altri compromessi.
L’abbraccio progressista tra i due leader è simbolo anzitutto del fatto che la Spagna è tornata a votare per niente. L’accordo siglato ieri si sarebbe potuto fare quest’estate, la Spagna avrebbe risparmiato qualche decina di milioni di euro di organizzazione elettorale e Sánchez probabilmente avrebbe strappato condizioni migliori. È anche il simbolo di una certa tendenza europea di partiti d’establishment costretti, con le mascelle serrate, ad alleanze con radicali scravattati e in jeans, necessarie o per sbloccare una situazione politica immobile oppure per bloccare l’ascesa di populismi più pericolosi. Con una Grande coalizione quasi impossibile da realizzare, per ragioni storiche e tattiche, l’unica alternativa a questo accordo sarebbe stata la ripetizione ennesima delle elezioni, che questa volta sì avrebbe portato Vox a livelli molto alti. All’annuncio dell’accordo l’Ibex, il principale indice borsistico spagnolo, ha perso qualche punto, ma non ha avuto crolli significativi. Anche i mercati, ormai, si sono abituati.
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