Popolari, socialisti e liberali litigano e von der Leyen accumula debolezze
La maggioranza che sostiene la presidente della Commissione europea non vuole siglare una tregua. Il riesame per l’ungherese e il no inglese
Bruxelles. Ursula von der Leyen è davvero in grado di guidare l’Unione europea per i prossimi cinque anni? Gli interrogativi sulle capacità di leadership della futura presidente della Commissione si stanno accumulando, nel momento in cui l’entrata in funzione della sua squadra subisce un’altra serie di intoppi. Mercoledì sera il governo britannico di Boris Johnson ha inviato una lettera per annunciare che, causa elezioni, non nominerà un commissario, creando una situazione “senza precedenti” dal punto di vista legale che potrebbe compromettere il funzionamento della nuova Commissione. L’Europarlamento non ha confermato il candidato dell’Ungheria e la “maggioranza Ursula” (popolari, socialisti e liberali) continua a mostrare profonde crepe. Il francese Thierry Breton ha passato l’audizione, ma c’è chi teme che a saltare possa essere tutta la Commissione von der Leyen.
Questa era la settimana che doveva permettere alla Commissione von der Leyen di uscire dallo stallo, dopo la fiducia per appena nove voti concessa dall’Europarlamento nel luglio scorso e la bocciatura dei candidati commissari di Francia, Ungheria e Romania in ottobre. Il tempo stringe per far entrare in carica il collegio il 1° dicembre. Il calendario prevede di completare le audizioni dei nuovi candidati commissari entro giovedì prossimo, per procedere all’approvazione di tutta la Commissione da parte dell’Europarlamento il 27 novembre. Negli scorsi giorni la von der Leyen aveva scritto due lettere a Boris Johnson per chiedergli di indicare il nome di un commissario, come il Regno Unito aveva promesso di fare al momento della proroga della Brexit. La presidente eletta era ottimista, pensava che avrebbe ricevuto una risposta positiva entro la fine di questa settimana, anche perché un portavoce di Downing Street aveva indicato la volontà di rispettare gli obblighi.
Sul fronte dell’Europarlamento, la von der Leyen aveva fatto una serie di concessioni dell’ultimo minuto ai socialisti, che a ottobre erano stati decisivi per la bocciatura della prima candidata dei francesi, Sylvie Goulard: cambio di nome per il contestato portafoglio sulla protezione della “European way of life” dall’immigrazione (ora sarà “promozione del nostro stile di vita europeo”); più attenzione ai “diritti sociali”; trasferimento delle competenze sugli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu dal falco popolare Valdis Dombrovskis alla colomba socialista Paolo Gentiloni. L’obiettivo era ammorbidire il gruppo socialista in vista dell’audizione di Thierry Breton. Il candidato commissario francese era sospettato di un gigantesco conflitto di interessi visto che le sue competenze (mercato unico, digitale, difesa) si sovrappongono ai settori di cui si occupa il colosso Atos che lui dirigeva fino a pochi giorni fa. L’operazione ieri in parte è riuscita. Durante l’audizione, Breton ha assicurato che sarà “radicale” sui conflitti di interesse e i socialisti gli hanno riservato un trattamento di grande favore rispetto a Goulard. Ma la “maggioranza Ursula” è nuovamente collassata sul candidato di Viktor Orbán, Oliver Varhelyi, che ha rifiutato di prendere le distanze in modo esplicito dal suo primo ministro (e datore di lavoro, visto che è l’ambasciatore dell’Ungheria presso l’Ue).
L’altolà a Varhelyi sarebbe facilmente superabile se popolari, socialisti e liberali decretassero una tregua definitiva. Il candidato commissario ungherese – che ieri è stato bocciato da socialisti, liberali, verdi e comunisti – dovrà rispondere entro lunedì a un questionario scritto e forse tornare per un’altra audizione la prossima settimana. Ma come dimostrato dal caso Goulard, non si può escludere un altro intoppo. Il moltiplicarsi degli incidenti è preoccupante per la prossima legislatura: dentro all’Europarlamento non c’è nessuno che controlli i gruppi della “maggioranza Ursula”. La von der Leyen fatica a imporsi perfino sui suoi popolari, il cui capogruppo Manfred Weber sta facendo il gioco sporco per ambizioni personali. Ma la preoccupazione maggiore immediata per la von der Leyen è l’assenza di un commissario del Regno Unito. “L’obiettivo della presidente eletta della Commissione è di avere il nuovo collegio in funzione il 1° dicembre 2019”, ha ribadito ieri la sua portavoce. Ma la situazione è “complessa e senza precedenti”. Il Trattato dice che la Commissione deve essere “composta da un cittadino di ciascuno stato membro”. I servizi giuridici di Commissione e Consiglio sostengono che si può andare avanti anche a 27, ma la squadra di transizione della von der Leyen teme che cittadini e imprese possano far ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’Ue contestando la legittimità dell’esecutivo comunitario e delle sue decisioni. “Ci sono rischi legali”, dice al Foglio una fonte europea.
Per tutelarsi contro eventuali ricorsi e dimostrare che è stato fatto tutto il possibile per convincere il premier inglese Johnson a rispettare gli obblighi europei, l’attuale Commissione Juncker ieri ha avviato una procedura di infrazione contro il Regno Unito. Johnson ha tempo fino al 22 novembre per rispondere, altrimenti potrebbe essere lui a finire davanti alla Corte di giustizia dell’Ue (anche se è improbabile visti i tempi della Brexit). In ogni caso, per sbrogliare la matassa giuridica, alla von der Leyen serve una decisione all’unanimità degli stati membri e alcuni governi temono di creare un precedente controproducente per loro, perché verrebbe meno il principio di un commissario per ciascun paese. L’auspicio della von der Leyen è di trovare una soluzione alla questione britannica già venerdì, perché un altro ritardo rischia di compromettere la data del 1° dicembre. Comunque la fiducia finale all’Europarlamento per la sua Commissione “non è scontata”, dice la fonte: “Da diverse capitali arrivano segnali negativi”. Il 27 novembre a Strasburgo basta la maggioranza semplice. Ma, di questi tempi, nei palazzi di Bruxelles è difficile trovare qualcuno che non allarghi le braccia ammettendo che la von der Leyen è “debole”. Anche se passasse di misura all’Europarlamento, la nuova Commissione inizierebbe il suo cammino come un’anatra già un po’ azzoppata.