Appunti sull'intossicazione informativa globale
Dopo il “ritiro”, Trump ha più soldati in Siria di prima. E per i russi Al Baghdadi è vivo
Due storie che illustrano bene quanto è tossico il mondo dell’informazione quando si parla di notizie che vengono dall’estero. Tre settimane fa un distaccamento della Delta Force americana è atterrato con gli elicotteri vicino a una casa in Siria dove si nascondeva il capo dello Stato islamico, il ricercatissimo Abu Bakr al Baghdadi. Quello per non farsi catturare vivo si è fatto esplodere, i soldati per andare sul sicuro hanno fatto un test del Dna ai resti e hanno confermato con certezza matematica che si trattava di lui. Cinque giorni dopo lo Stato islamico ha ammesso con un comunicato ufficiale la morte del suo capo e ha annunciato il nome del successore. Trump ha dichiarato che Baghdadi era morto e ha ringraziato la Russia, che ha lasciato passare gli elicotteri americani nel cielo super-sorvegliato della Siria senza intromettersi. Fin qui tutto giusto, no? Ebbene, la posizione ufficiale della Russia è che non c’è stata alcuna operazione americana quella notte. Non abbiamo visto niente, dicono, smentiamo che ci sia stata un raid con elicotteri e non c’è alcuna prova che Baghdadi sia stato ucciso. Sono passate tre settimane e per la Russia non è successo nulla. Perché fanno così? Perché questo è il gioco, distruggere il senso delle informazioni, logorare tutti gli altri, far venire la febbre al cervello del pubblico che guarda e non sa più a chi dare retta. E se fanno così con una notizia tutto sommato neutra come la morte di Baghdadi, figurarsi cosa fanno quando le notizie toccano in modo diretto i loro interessi. Non è una novità, si fa così da secoli, ma verrebbe da pensare che oggi dovrebbe essere più difficile. E invece.
Storia numero due. Quando Trump è arrivato alla Casa Bianca i soldati americani in Siria secondo i numeri del Pentagono erano cinquecento. Poi il loro numero è salito a duemila, fino a quando come tutti sanno Trump ha deciso di “riportare i militari a casa” e lo ha detto e ripetuto in molte interviste davanti alle telecamere e ai giornalisti. Per settimane la decisione di Trump ha riempito i giornali americani. Il ritiro ha avuto conseguenze enormi, c’è stato il voltafaccia con i curdi, l’offensiva militare della Turchia, ci sono combattimenti, profughi e caos da sei settimane. Ma dal Pentagono dicono che oggi il numero dei soldati americani in Siria oscilla tra seicento e ottocento. E’ aumentato rispetto a quando Trump è arrivato alla Casa Bianca – e se consideriamo tutto il medio oriente allora ci sono molte migliaia di soldati americani in più. Abbiamo speso anni a parlare della dottrina isolazionista di Trump e i suoi elettori credono che lui sia uno che “riporta i nostri militari a casa”, ma c’è uno scollamento con la realtà. Due giorni fa Jeremy Corbyn, che è il leader della sinistra inglese non un passante qualsiasi, ha detto che Baghdadi – il capo fanatico che si è fatto saltare in aria assieme con due bambini – avrebbe dovuto essere arrestato. Corbyn è scemo? Oppure come i russi sa di cosa parla e ha preso in modo deliberato quella posizione per mandare segnali? Viviamo in mondi multipli che contengono informazioni completamente differenti e hanno passaggi di comunicazione fra loro. E per capire se una notizia è vera, un po’ vera oppure falsa ci vuole un livello di specializzazione superiore alla media.
Questo ci porta all’impeachment americano trasmesso in televisione. Non ci sono dati consultabili, ma c’è da scommettere che per molte persone il piano Kalergi – il complotto per sostituire gli europei con immigrati africani, finanziato da George Soros – è più reale di questo ricatto trumpiano contro il governo ucraino di cui si parla nei notiziari.
Se Baghdadi è ancora vivo per i russi e per gli americani i soldati si sono ritirati dalla Siria, allora perché l’atto d’accusa contro il presidente dovrebbe essere in qualche modo più veritiero e non un’altra delle eccitanti allucinazioni colorate che passano sul telefonino? Che poi è la speranza dei repubblicani per sbarazzarsi delle accuse fattuali contro Trump. Basta dire che non è vero e far salire la febbre degli spettatori. Mercoledì un deputato repubblicano di quelli duri, Paul Gosar, ha twittato molto durante la diretta tv delle deposizioni dell’impeachment. Se si vanno a vedere le prime lettere dei tweet una di seguito all’altra compongono la scritta “Epstein didn’t kill himself”: si riferisce al suicidio in carcere del ricco pedofilo Jeffrey Epstein, che per molti sarebbe stato assassinato in modo che non svelasse nulla sui suoi amici importanti. A proposito di impeachment: quando il capo politico dei Cinque stelle Luigi Di Maio annunciò l’impeachment contro il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 27 maggio 2018, il giorno dopo Google registrò un’impennata di ricerche del termine “impingement”. Poi il primo giugno Di Maio giurò regolarmente da ministro davanti a Mattarella come se nulla fosse successo. Questo è il livello tossico delle informazioni e per navigarci in mezzo è richiesta una sovrappiù di sangue freddo.