Una deputata irachena ci dice che questa rivolta non basta a cambiare le teste
Thawra al Helfi, una donna che si chiama “rivoluzione”
Baghdad. La deputata irachena Thawra al Helfi ride all’idea che la corruzione possa essere sradicata dalle proteste letali e molto pubblicizzate in corso in tutto il paese. “Ci vorranno almeno tre generazioni” per portare la società irachena lontano dalla normalizzazione della corruzione in tutte le sfere, dice al Foglio la donna, il cui nome in arabo vuol dire “rivoluzione”. “E’ sistemica, non soltanto nel governo. La corruzione è ovunque. E’ diventata talmente uno stile di vita indiscusso qui” che chiedere semplicemente un cambiamento non porterà una differenza sostanziale, dice.
Helfi viene da Bassora, la provincia meridionale ricca di petrolio dove le proteste nelle scorse settimane hanno preso di mira il porto commerciale di Umm Qasr, che è rimasto chiuso per settimane e poi riaperto e poi chiuso di nuovo, con gravi perdite economiche. “Tutta l’economia dell’Iraq dipende da Bassora, genera l’85 per cento dei ricavi del paese. Se Bassora va in rovina, siamo tutti nei guai”, dice Helfi, che per descrivere le proteste dell’anno passato dice che la città era come un pezzo di carbone che bruciava lentamente. “C’è un sacco di denaro, ma anche un sacco di povertà” nella provincia.
Le proteste nella capitale dell’Iraq e nelle regioni del sud dominate dagli sciiti contro la corruzione e per ottenere più posti di lavoro e più servizi sono cominciate il primo giorno di ottobre a tahrir, la piazza centrale di Baghdad. Sono state trattate con molta violenza, da cecchini e da altre fazioni armate che forse non rispondono al governo. I manifestanti non hanno leader riconosciuti ma a più riprese hanno chiesto che il governo e la costituzione siano cambiati. Alla fine di novembre, più di trecento manifestanti e uomini delle forze di sicurezza erano stati uccisi nelle proteste, anche se molti dicono che il vero numero sia molto più alto. Gli spari contro le proteste sono cominciati subito dopo Il blocco di internet da parte del governo, notano in molti, e questo vuol dire che c’è la volontà di fare in modo che la grandezza reale della violenza non sia pubblicizzata.
Helfi, che indossa un tipico vestito tradizionale nero che copre tutto con un velo nero che da in parte è lasciato libero e cade su un lato, è vivace e sicura, sorride spesso e non esita a criticare il tribalismo molto forte che c’è nel sud roccaforte degli sciiti e gli altri politici, incluso lo speaker del Parlamento Mohamed al Halbusi.
Entrambi fanno parte della generazione più giovane di politici iracheni – Helfi è stata una delle più giovani del Parlamento ad interim eletto nel 2005 ed è stata rieletta alle ultime elezioni nel marzo 2018 – e sono entrambi ambiziosi. Lei, che ha un master in economia, dice di lavorare in un comitato di pianificazione che monitora la performance del governo. “E’ molto difficile valutare l’operato dell’attuale governo dopo così tanti anni di fallimenti. Hanno cominciato bene ma poi non sono riusciti a fare molte cose”. Spiega che i vari comitati parlamentari non si sono messi d’accordo su provvedimenti che riguardano settori come l’agricoltura e l’industria.
Il primo ministro ha tentato di fare qualcosa di buono nel settore della tecnologia dell’informazione e di stringere un patto con la Cina, ma “su di lui c’era una grande pressione” perché “i suoi ministri danno retta ai loro partiti e ai leader degli schieramenti e non a lui”. Questo è un aspetto del sistema politico che per molti manifestanti dev’essere modificato.
La pletora di comitati parlamentari e la loro “inutilità” è stata l’oggetto di molte lamentele con chi scrive durante una visita a ottobre a Sadr City, il distretto orientale della capitale che un tempo si chiamava Madina al Thawra, città della rivoluzione.
Costruita nel 1959 per risolvere una grave crisi delle abitazioni, sadr City è rimasta un’area povera in cui le famiglie sciite, molte con radici nel sud, hanno vissuto per decenni. E’ stata rinominata Saddam City nel 1982 e poi nel 2003 il nome è diventato in via non ufficiale Sadr City, in onore di un leader sciita molto rispettato. In quest’area, anche a ottobre, le proteste erano chiamate “thawra”, rivoluzione e non soltanto proteste, sia dalle bande di adolescenti che vanno a rischiare la vita sia dai loro genitori, stufi di credere alle proteste dei politici senza vedere un futuro reale per i propri figli. La parlamentare con lo stesso nome, tuttavia, dubita che diventerà davvero una rivoluzione.