Lawrence Wright, inviato del mensile americano New Yorker

Le realtà separate di Wright

Daniele Raineri

L’inviato migliore d’America ci spiega perché tutti vivono nella loro bolla e come il Texas sta per diventare la più grande di tutte, più di California e NYC assieme. Viaggio nel futuro del mondo

Lawrence Wright è l’inviato del settimanale americano New Yorker che tredici anni fa ha pubblicato un libro capolavoro sugli attacchi dell’11 settembre e su al Qaida. Il titolo è “Le altissime torri”, è il racconto definitivo che spiegò alla nazione cosa era accaduto, è diventata una serie in otto puntate e all’epoca soddisfò in maniera uguale il pubblico e gli specialisti del settore (il libro, non la serie) per la quantità e la qualità del materiale trovato. Dopo molto lavoro all’estero Wright ha puntato gli occhi su casa sua, il Texas, che è sempre di più lo stato da conoscere se si vuole capire cosa succede in America (ci ha scritto un libro: “Dio salvi il Texas”, NR edizioni, 288 pagine). Soprattutto adesso che il paese è spaccato tra i trumpiani e antitrumpiani, che ogni giorno si scambiano i ruoli di dominatori e di perdenti in preda al panico. Lo incontriamo a Roma. Parla piano perché pensa in modo deliberato ogni risposta, in un’ora seduto in un bar della Rinascente nessuna frase sembra arrivare per caso o per distrazione.


“C’è una gara tra la realtà e la fantasia. Penso che alla fine la realtà vincerà, ma non mi sarei mai aspettato una gara” 


Partiamo dalla mole di informazioni contenuta nel suo libro sull’11 settembre. “Lavoro giornalistico di base. Ho preso i documenti legali, ho evidenziato i nomi, ho trovato i loro numeri di telefono, li ho scritti accanto ai nomi nelle pagine e li ho chiamati tutti. Alla fine riesci a sentire tutti i nomi e quelli ti hanno portato ad altri nomi e hai popolato l’universo della storia che stai scrivendo. Questo è quello che io chiamo accesso orizzontale, perché parli a tutti quelli che ti vogliono parlare. Ma c’è un altro tipo di accesso ed è quello verticale, certe persone ne sanno di più, sono più addentro, diventano fonti fidate. In cinque anni ho sentito seicento persone”. Il tuo direttore ti ha lasciato a scrivere il libro per cinque anni? Come lo hai convinto? E ti bastava il budget? “Era la storia più importante in America a quel tempo, il direttore mi voleva davvero là fuori impegnato a fare quel lavoro. Avevo avuto un anticipo per il libro, ma non avrebbe coperto i costi perché era un lavoro molto costoso, c’era molto da viaggiare: Afghanistan, Arabia Saudita. Il New Yorker ha coperto la maggior parte delle spese. Ma allo stesso tempo ho dato loro molte storie e non puoi sottovalutare il valore del lavoro fatto sul campo”.

 

Cosa pensi del fatto che oggi un tizio qualsiasi su un blog può scrivere che Osama bin Laden non è mai esistito e che l’11 settembre è stato tutto un piano della Cia e che tu sei un bugiardo e non sei mai stato in Afghanistan o in Arabia Saudita? “E’ molto scoraggiante, perché sembra che la verità sia in gara con la fantasia. Non dico che la fantasia stia vincendo, ma non mi sarei mai aspettato che ci fosse una gara. Colpisce molto. La mia analisi è che a molte persone piace vedere il mondo nel modo in cui credono che sia e se succede qualcosa che non va d’accordo con come loro vedono il mondo, lo ignorano. Sono cresciuto a Dallas, ero lì quando Kennedy fu ucciso, le teorie del complotto mi sono familiari, le false versioni della storia non sono una cosa nuova. Ma non a questo livello. Alla fine la gente tende a credere quello che vuole credere”. C’è qualcuno che facilita questa perdita di senso delle cose?


Se i dem nominano qualcuno troppo a sinistra, per il Texas sarà inaccettabile. Con un centrista potrebbe diventare uno stato blu


 

“Sì certo, Trump è il numero uno. E’ un prodotto della cultura della fantasia e delle teorie del complotto. E ci sono molti altri. Alex Jones (un conduttore radiofonico che ha un’ossessione per i complotti), per esempio. E uno dei suoi eroi è Donald Trump. Per me è incredibile che Alex Jones abbia avuto accesso alla Casa Bianca, ma questo è quello che siamo diventati”. E chi la vince la gara tra la fantasia e la realtà? “Non posso fare a meno di pensare che la verità vincerà, ma al momento siamo finiti in una trappola che ci siamo costruiti da soli, con internet, con i media schierati, la gente non riesce a uscire dalla realtà che si è costruita, stanno tutti troppo comodi dove sono. Percepiscono minacce al loro modo di leggere la realtà e si ritraggono. La gente si è piazzata comoda dentro le camere a eco, non ci si parla più l’uno con l’altro, parliamo soltanto con la gente che è d’accordo con noi e questo crea delle realtà separate”. Cosa pensare del fatto che sono passati quasi vent’anni dagli attacchi dell’11 settembre e adesso c’è un gruppo ancora più estremista di al Qaida, lo Stato islamico, che considera al Qaida e i talebani troppo molli? Credevamo tutti che i talebani fossero i più estremisti del pianeta e invece la nuova ondata è ancora più virulenta.

 

“Sono preoccupato dal presente, ma molto più dal futuro. Al Qaida ha filiali dal sud dell’Asia, all’India, al Marocco e altrove in Africa. L’11 settembre al Qaida aveva qualche centinaio di membri, adesso ne ha migliaia che proclamano gli stessi argomenti e vogliono uccidere e distruggere. Le cose che stavamo dicendo pochi istanti fa, le realtà false, valgono anche per loro: vivono dentro quel quadro ideologico e non cambieranno idea, perché nessuno di quelli con cui parlano la pensa in modo diverso, vivono in un mondo di consenso totale, e lì dentro è molto difficile pensarla in un altro modo, è così che si diventa radicalizzati. Vivi in un mondo estremista e non c’è alcun altro mondo che ti sfida, un altro mondo con risposte per le persone che sono confuse, che si sentono perse e hanno poche opportunità nelle loro vite di avere una famiglia e tutto il resto. E’ un fatto interessante che al Qaida non cominciò così, cominciò con persone come Bin Laden e Zawahiri che erano professionisti e avevano una vita, e avevano soldi, ma adesso nel processo di espansione loro e gli altri hanno raccolto gente senza speranza. Penso che l’estremismo sia una creatura della disperazione. Nel medio oriente, nel sud dell’Asia, ci sono fiumi di disperazione che attraversano quei luoghi, non è soltanto una questione di non avere nulla o di non possedere una casa o non avere un’istruzione o un posto di lavoro, tutte queste cose contribuiscono a quel sentimento di disperazione che è così diffuso in quelle parti del mondo ed è dove l’islamismo cresce così forte”.


Il Texas e la California sono i due stati più importanti d’America, sono come due ceppi opposti di Dna che si guardano


 

C’è qualcosa che ci fa guardare con pessimismo all’America di oggi. Ci sono molte voci di cospirazionisti, di violenti, di aizzatori politici, di estremisti, ci sono molte armi in circolazione, c’è un clima politico cupo. Sembra di osservare la situazione in qualche paese del medio oriente ancora più o meno pacifico, dove magari c’è un accordo per coabitare tutti in tranquillità ma sotto la superficie delle cose – e lo sanno tutti – ci sono fazioni armate e ideologi molto aggressivi, non è un paese che si può sentire al cento per cento sicuro. Addirittura alcuni in America parlano di “guerra civile”, per esempio nel caso arrivasse un impeachment contro il presidente Trump. Forse ci si occupa sempre di cattive notizie e di frange violente e si trascurano tutte quelle parti della società che prosperano e sono pacifici e si godono la vita. Ci stiamo preoccupando troppo?


A Austin arrivano 150 persone ogni giorno e la disoccupazione resta al 2,5 per cento. Abbiamo più posti di lavoro che persone 


“Quando ero un giovane ed ero in Vietnam la società in America era lacerata. Penso agli assassinii di John Kennedy, di Robert Kennedy, di Martin Luther King. Era un periodo orribile della nostra storia, ma siamo sopravvissuti, l’abbiamo attraversato e le nostre istituzioni erano ancora abbastanza forti da tenere la società unita. E’ ancora vero oggi, ma è anche vero che la nostra società è stata scossa da queste differenze. E’ difficile riconoscere quando sei nel mezzo di un periodo di cambiamenti storici quanto è serio e pericoloso, prendi l’ascesa del nazismo, ci sono così tante storie di persone che erano minacciate dai fascisti eppure non si preoccupavano, che dicevano forse va bene così, forse ne uscirà qualcosa di buono. Invece devi essere consapevole della possibilità di pericoli. Non penso che ci sarà una guerra civile in America. Ci saranno violenze, ci saranno dimostrazioni che potrebbero diventare violente, ma credo che la polizia sia ancora molto sotto controllo. Oggi Trump è un alieno nel suo stesso governo. Le agenzie, i funzionari, l’intelligence, anche le forze armate sono tutti stufi di lui. Penso che se dovesse essere sconfitto alle prossime elezioni, polizia e soldati non si schiererebbero dalla sua parte per tenerlo alla Casa Bianca. C’è gente che parla di resistenza in caso di impeachment o di una sua sconfitta alle elezioni, non so quanto questo movimento sia diffuso ma non lo vedo come un rischio per la democrazia”.

 

Altri quattro anni di Trump potrebbero indebolire ancora le istituzioni? “Senza dubbio, Trump ha indebolito molto le istituzioni e le alleanze ma sai, una parte dell’essere americani è l’ottimismo: abbiamo affrontato sfide in passato e lo faremo di nuovo. Certo è un problema nuovo, abbiamo comunità separate che non si parlano ed entrambe sono così convinte di avere ragione e che non ci sia alcun’altra verità che la loro, rende molto difficile avere quella civiltà e quella capacità di compromesso necessarie a riparare il danno sociale che abbiamo sofferto”.

 

Il Texas è una di queste comunità separate, la più grande al mondo?(Ride) “Il Texas è sempre stato molto diffidente delle regioni sulla costa (soprattutto la California da una parte e New York dall’altra). Non ci sono molti altri stati in America che hanno un impatto culturale forte come il Texas. Tutti hanno un’idea su città come New York oppure Chicago, o su Hollywood, ma tutti nel mondo hanno un’opinione su come è il Texas”.

 

E voi la enfatizzate questa opinione?“Penso che molte volte i texani si sentano in dovere di agire da texani, dobbiamo indossare gli stivali da cowboy, magari vieni qui da Detroit ma rapidamente ti cominci a vestire alla texana. E’ un ruolo. Significa anche che la tua comunità è inclusiva. C’è un certo senso di famiglia che s’accompagna all’essere texani, c’è una certa cultura amichevole, di texanità comune”.

 

Quello che ho capito dall’ultimo libro è che il Texas è un laboratorio, quello che succede nel Texas poi succede anche nel resto del paese.“California e Texas sono i due laboratori dell’America e sono i due stati più importanti. E sono totalmente all’opposto in tutto, penso per uno scopo preciso. Quando ero giovane il Texas era uno stato totalmente in mano ai democratici e la California era tutta repubblicana, adesso è il contrario, è come se fossero due ceppi diversi di Dna, sono in relazione, si muovono l’uno in relazione all’altro, ma si muovono sempre in opposizione. Si chiamano Stati Uniti per una ragione, sono entità differenti assieme per associazione, ma in questi cinquanta stati ce ne sono due che sono dominanti. Ciascuno ha il suo modello economico e il suo modello politico. Dal punto di vista demografico siamo molto simili, abbiamo entrambi una maggioranza e una minoranza, abbiamo circa il 40 per cento di ispanici. Abbiamo modelli differenti di istruzione e di tassazione, anche se alla fine stiamo ottenendo entrambi risultati scarsi nell’insegnare ai nostri bambini. La differenza è che il Texas sta crescendo molto e la California no. C’è gente che molla la California stufa degli incendi e si sposta a vivere in Texas, i nostri politici vanno là a fare pubblicità, è come uno schiaffo alla California. Il Texas raddoppierà come popolazione nel 2050 e a quel punto sarà come la California e New York messi assieme. Non ci sarà modo per l’America di fare senza il Texas, il Texas determinerà tutto. Immagina uno stato di quelle dimensioni e con un’economia così dinamica, tutto in America sarà un po’ più texano”.

 

Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro se sarà il Texas a decidere la direzione di tutta l’America? “Se il Texas fosse importante già oggi come lo sarà nel 2050, allora l’America sarebbe un posto molto più conservatore e meno compassionevole di adesso. Penso che sotto l’Amministrazione Trump – l’atteggiamento verso l’immigrazione, la mancanza di compassione, il narcisismo – c’è molto di quello che è la politica texana adesso. Ma il Texas sta cambiando, si sta evolvendo. Si sta spostando visibilmente a sinistra. Questo a causa dell’immigrazione, che è impressionante. Ogni giorno. Centinaia e centinaia di persone stanno arrivando in Texas. Centocinquanta al giorno a Austin, che è dove vivo. Quattrocento ogni giorno a Dallas. E’ incredibile pensare che la disoccupazione a Austin è al 2,5 per cento, con tutta la persone che stanno arrivando. Li stiamo assorbendo tutti e abbiamo bisogno di molti altri. Stiamo creando più posti di lavoro di quanta gente c’è a disposizione. Questo è un problema meraviglioso da avere. Ogni volta che guido in città vedo qualche edificio nuovo, ci sono gru dappertutto, è una cosa di cui essere orgogliosi ma sta cambiando lo stato. La gente arriva con idee politiche differenti, con idee diverse sul governo. L’abbiamo visto alle ultime elezioni, c’è stata un’ondata democratica, i repubblicani ora si sentono molto meno sicuri. Se il Texas diventa democratico, i repubblicani non riusciranno più a eleggere un presidente”.

 

Il Texas si sposta a sinistra, ma intanto la sinistra americana si sta spostando ancora più a sinistra. Forse è accettabile a New York, dove c’è questa adorazione per Alexandria Ocasio-Cortez, ma è accettabile anche per il Texas? “No, sarà un disastro. Non è accettabile. C’è da vedere se i democratici nomineranno un centrista. Joe Biden è molto conosciuto. Mike Bloomberg ha appena annunciato la sua candidatura, spenderà trentacinque milioni di dollari in pubblicità soltanto in Texas. Sta dando la caccia al Texas. In passato a nessuno importava del Texas perché davano il risultato per scontato, venivano soltanto per raccogliere fondi, ma questa volta il Texas è in gioco. Se il nominato sarà accettabile per i moderati, il Texas diventerà blu. Trump è popolare fra i repubblicani, ma la gente che s’identifica con i repubblicani non è in maggioranza, c’è un gruppo di texani che è indipendente, quello è ancora da assegnare all’uno o all’altro lato. Dal mio punto di vista egoista e texano, se ci fosse un candidato dem e moderato, la Camera del Texas probabilmente diventerebbe democratica anch’essa dopo le elezioni e questa sarebbe una grande differenza perché dal 2020 potrebbero ridisegnare i distretti elettorali, che oggi sono disegnati apposta per frammentare le aree liberal. Austin è probabilmente la città più liberal nel sud degli Stati Uniti, se si traccia una linea da Washington a San Francisco, Austin è probabilmente la città più liberal ed è nel mezzo del Texas. Abbiamo eletto cinque persone al Congresso, ma il mio per esempio ha un concessionario d’auto duecentocinquanta miglia a nord da me per la forma anomala del distretto elettorale. Se i democratici vincessero, potrebbero annullare questa manipolazione che produce politici texani molto più conservatori di quanto non lo siano i texani”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)