Dazi per salvare Big Tech
L’Amministrazione Trump minaccia sfracelli contro la web tax della Francia (e anche contro la nostra)
Milano. La web tax francese contro le compagnie di internet della Silicon Valley è arrivata a tanto così dall’aprire un nuovo scontro commerciale tra Washington e Parigi, dopo che lunedì notte l’Amministrazione americana ha minacciato dazi pesanti su 2,4 miliardi di dollari di prodotti francesi come rappresaglia. Donald Trump è arrivato al vertice Nato di Londra facendo fuoco e fiamme contro Emmanuel Macron, ma durante il bilaterale ha detto che “probabilmente” la disputa commerciale tra Parigi e Washington si risolverà, perché “abbiamo moltissimi scambi con la Francia”. Fino a poche ore prima, tuttavia, la discussione era stata feroce, ed era arrivata vicino al punto di rottura quando il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire aveva promesso rappresaglie a livello europeo contro i dazi americani. La web tax francese, che è stata approvata in via definitiva lo scorso luglio ed è il modello su cui anche l’Italia ha basato la propria proposta di web tax, continua a essere motivo di attrito tra Stati Uniti ed Europa, ed è un esempio perfetto delle differenze tra i due alleati quando si tratta di regolamentare – e tassare – le grandi aziende di internet.
E’ noto che Trump dall’inizio della sua presidenza utilizza i dazi come la leva di tutta la sua politica estera: la bilancia commerciale con la Cina non è in equilibrio? Trump usa i dazi. La Turchia sta massacrando i curdi nel nord della Siria? Trump minaccia di distruggere l’economia di Ankara, ovviamente con i dazi. La web tax francese è tornata d’attualità perché il dipartimento del Tesoro americano ha pubblicato lunedì notte i risultati di un’indagine in cui si dichiara che l’imposta francese è un atto discriminatorio contro le aziende americane “come Google, Apple, Facebook e Amazon”. La risposta più adeguata contro questa discriminazione, si legge nel documento del dipartimento, è quasi un cliché: dazi del 100 per cento su prodotti alimentari e su beni di lusso, come vini, formaggi e borse firmate, che è un po’ come voler colpire l’Italia mettendo dazi sulla pasta, la pizza e la Ferrari (ci torneremo). In questo senso, siamo davanti a un salto di qualità nella strategia americana: Washington non minaccia dazi per riequilibrare la bilancia commerciale con un altro stato, ma per ottenere la modifica della legislazione interna di un paese alleato.
La tassa francese sarà valida a partire dal 1° gennaio e consiste in un’imposta del 3 per cento sulle entrate delle aziende di internet che hanno entrate globali di almeno 750 milioni di euro ed entrate in Francia di almeno 25 milioni. E’ così evidente che l’obiettivo di questa tassa sono le aziende americane della Silicon Valley che al tempo della discussione parlamentare i media francesi parlavano tranquillamente di “taxe Gafa”, dove Gafa sta per Google Apple Facebook Amazon. Parigi ha deciso di approvare la sua web tax per impazienza, dopo che veti e ostacoli hanno boicottato ogni possibile accordo in tutti i consessi internazionali. In sede di Unione europea, pochi mesi fa il veto di alcuni paesi ha bloccato l’approvazione di una web tax a livello comunitario. In sede Ocse, invece, la discussione su una tassa per i giganti di internet a livello globale si trascina ormai da anni senza trovare una risoluzione. Per questo molti paesi, la Francia per prima, hanno deciso di approvare una tassa tutta loro. L’Austria, l’Italia e la Turchia vorrebbero fare lo stesso e hanno già dei progetti di legge in fase di approvazione (Ankara vorrebbe approvare un’imposta del 7,5 per cento), e per questo il dipartimento del Tesoro dice che sta valutando la possibilità di aprire un’inchiesta anche su di loro, e dunque su di noi. Anche molti altri paesi europei, dal Regno Unito alla Spagna al Belgio, hanno cominciato a discutere la possibilità di una web tax.
Trump ovviamente vede queste imposte come una discriminazione ingiusta. Dopo l’approvazione della tassa francese era partito il primo round di minacce, e Macron era riuscito a calmarlo con una promessa: quando sarà approvata la tassa a livello Ocse, la Francia eliminerà la sua web tax, e se risulterà che le imprese americane hanno pagato in Francia più di quanto dovuto sotto regime Ocse il governo restituirà la differenza. Trump era sembrato soddisfatto, ma alla vigilia del vertice Nato l’Amministrazione è tornata a minacciare dazi e nuove inchieste. A ogni polemica, la faglia tra Stati Uniti ed Europa sul trattamento da riservare a Big Tech non fa che allargarsi. In una frase celebre, Trump disse che la commissaria Ue con deleghe tech Margrethe Vestager “odia gli Stati Uniti più di chiunque altro abbia incontrato”, e ancora ieri al vertice ha continuato a lamentarsi del trattamento ingiusto riservato dagli europei alle aziende digitali americane. Nel frattempo la nuova Commissione europea ha promesso entro i primi cento giorni di mandato una regolamentazione sull’intelligenza artificiale che difficilmente piacerà alla Silicon Valley.