Lo sciopero di Francia
Tutto bloccato, i sindacati puntano al ritiro della riforma sulle pensioni. Macron cauto ostenta calma
Parigi. Questa mattina Parigi sembrava un po’ Amsterdam con i boulevards pieni di parigini in bicicletta che sfrecciavano a grande velocità per arrivare sul posto di lavoro in orario, o con un ritardo accettabile. Perché lo sciopero monstre indetto dai sindacati contro la riforma delle pensioni di Emmanuel Macron ha bloccato, come previsto, tutti i trasporti, da quelli parigini, gestiti dalla Ratp, a quelli nazionali, controllati dalla Sncf, ma ha riguardato anche i netturbini, gli insegnanti, il personale ospedaliero, i pompieri, gli avvocati, i lavoratori di Edf (la principale azienda produttrice di energia) e persino i poliziotti, chiamati a scioperare dalle potenti Alliance Politique e Unsa Police, organizzazioni sindacali di categoria. A fine giornata, erano più di duecentomila i manifestanti in tutta la Francia, e le maggiori tensioni, a causa della presenza di centinaia di black bloc, si sono verificate a Parigi, attorno a Place de la République, da cui è partito il corteo. “La mobilitazione è iniziata con ancor più forza rispetto al 1995”, ha detto Olivier Besancenot, portavoce del Nuovo partito anticapitalista, assicurando che lo sciopero sarà prolungato, e i manifestanti resteranno mobilitati “fino al ritiro della riforma”, proprio come ventiquattro anni fa, quando l’allora primo ministro Alain Juppé fu costretto a battere in ritirata. “Contrariamente a ciò che dice Blanquer (ministro dell’Istruzione, ndr), tutti sono consapevoli che perderemo molti soldi”, ha aggiunto Besancenot. Con lui, in piazza, c’era tutta la sinistra, da Benoît Hamon, presidente di Génération-s, a Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, che da Marsiglia ha salutato il “progresso in direzione dell’umanità” di Marine Le Pen (Rassemblement national), che ha sostenuto la grève, confermando l’esistenza di un’alleanza rossobruna contro il presidente Macron.
Ma a protestare c’erano soprattutto i sindacati, trainati dall’oltranzismo della Cgt di Philippe Martinez. Anche giornali di sinistra, come il Monde, hanno però sottolineato i rischi di questo sciopero frontale, parlando di “arma a doppio a taglio” per le organizzazioni sindacali. In perdita di consensi, la Cgt si è lasciata infiltrare da elementi radicali, molti dei quali fanno parte dei gilet gialli, che hanno portato violenza all’interno del movimento e fatto fuggire molti militanti storici. “E’ lo sciopero di troppo”, ha commentato Les Echos, denunciando l’irresponsabilità dei sindacati francesi che, tranne la Cfdt del riformista Laurent Berger, scherzano col fuoco, flirtano con minoranze che hanno come unico interesse quello di “tout casser”, spaccare tutto, per compensare la loro perdita d’influenza. Non è un caso che la Cfdt sia diventata oggi, grazie ai modi concilianti di Berger, il primo sindacato di Francia, tenendo conto dell’insieme dei lavoratori sindacalizzati del settore pubblico e privato.
L’esecutivo, dinanzi alle minacce dei sindacati estremisti, non ha comunque intenzione di modificare il cuore della riforma – l’introduzione di un sistema a punti, unificando in un solo regime universale i quarantadue regimi speciali, e molto privilegiati, attualmente esistenti. Al massimo si cambieranno alcune virgole e lo scadenzario della sua entrata in vigore. “Il capo dello stato è calmo e determinato a portare avanti questa riforma, ascoltando e consultandosi”, ha fatto sapere in una nota l’Eliseo, specificando che “l’architettura generale della riforma” sarà presentata “verso la metà della prossima settimana”, e si baserà sui risultati delle lunghe negoziazioni condotte dall’Alto commissario Jean-Paul Delevoye, che dovrebbero terminare nei prossimi giorni. Tuttavia, “la porta del governo è aperta”, ha precisato la portavoce Sibeth Ndiaye al termine del consiglio dei ministri, e “ci sono margini di negoziazione con le organizzazioni sindacali”: se necessario, insomma, Delevoye tornerà a fare pedagogia sulla riforma e ad ascoltare le obiezioni delle parti sociali, pur restando inflessibile sulla filosofia di base. Il progetto di legge definitivo, stando alle parole della portavoce, sarà presentato all’inizio del 2020. La strategia del governo è quella di mostrarsi dialogante con i cittadini, di non “gettare olio sul fuoco”, secondo le parole del premier Édouard Philippe, di aspettare che la rabbia svanisca un po’ alla volta, che la protesta si spenga per sfinimento, anche perché il 76 per cento dei francesi, secondo gli ultimi sondaggi, è favorevole alla riforma.
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