“Ciò che è bene per la Nato lo è anche per l'Ue”. Parla il gen. Graziano
“All’Alleanza atlantica non c’è ancora alternativa. La Cina? Non è una minaccia, ma un’opportunità”, ci dice il presidente del Comitato militare dell’Unione europea
Roma. L’esercito europeo è di là da venire, non si scorge all’orizzonte un nuovo “piano Pleven” e neanche leadership visionarie capaci di imprimere una svolta politica. E tuttavia il generale Claudio Graziano, a capo del Comitato militare dell’Unione europea, la più alta autorità composta dai capi di stato maggiore della Difesa dei 28 paesi membri, non sfugge alla questione: “Noi, come militari, possiamo profondere il massimo impegno strategico e operativo ma la direzione di marcia la indicano le istituzioni politiche. L’Europa deve riscoprire il senso dell’urgenza di fronte alle nuove minacce globali: soltanto così si compiranno passi avanti verso una maggiore integrazione”. Il progetto di forze armate integrate, come preconizzato dai padri fondatori, Jean Monnet in testa, va archiviato? “Da europeista penso che sia l’obiettivo da perseguire. Probabilmente, vista la mia età, non assisterò alla sua nascita, ma i miei nipoti sì”.
In occasione del vertice di Londra e Watford sono emerse opinioni divergenti sullo stato di salute dell’Alleanza atlantica. “Dopo settant’anni qualunque organizzazione complessa richiede una ridefinizione degli equilibri interni. La Nato non è più il braccio armato dell’Onu, anzitutto a causa della paralisi decisionale del Consiglio di Sicurezza. La Difesa comune europea va intesa come un pilastro fondamentale in un quadro più esteso per assicurare lo sviluppo e la sicurezza dei nostri popoli. Il dibattito tra i leader europei è vivace ma tutti riconoscono che non c’è alternativa all’Alleanza atlantica. Anzi, direi che ciò che è bene per la Nato lo è anche per l’Ue”. Sin dagli albori, l’Europa ha puntato sul settore carbo-siderurgico con il Trattato di Parigi del 1951 istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. “Si comprende dal principio che mettere in comune le risorse per la produzione di armamenti è la base di un’alleanza che eviti conflitti futuri. Dal 2016 esiste una Strategia globale volta a rafforzare la cooperazione tra i paesi membri dell’Ue per garantire una Difesa avanzata: spostando la linea di difesa al di fuori dei confini europei l’Ue è in grado di assicurare una maggiore sicurezza interna. Il triangolo dei rischi, che include terrorismo, immigrazione clandestina e disordine negli stati collassati, impone di intervenire in Siria o nel Sahel perché solo stabilizzando quei paesi ed estirpando la criminalità lì operante si possono contrastare i pericoli presenti sul territorio nazionale. Mentre parliamo, sono in corso tre missioni di addestramento in Mali, Somalia e Repubblica centrafricana, cui se ne aggiungono due di sicurezza marittima”. Una di queste è Sophia, un’operazione navale, prorogata dall’Ue, ma senza navi in mare da diversi mesi. “Va detto che Sophia è nata con l’obiettivo precipuo di contrastare il traffico di esseri umani e addestrare la Guardia costiera libica, non per salvare vite in mare. Il soccorso è un obbligo morale, ancor prima che giuridico, ma è evidente che oggigiorno i flussi migratori dall’Africa comportano molteplici rischi per l’Europa, soprattutto in un’ottica di lungo periodo a causa della crescita demografica del continente africano. Dietro l’immigrazione irregolare si muove una rete criminale, specializzata nel traffico di stupefacenti in Afghanistan e nel commercio illecito del petrolio nelle zone un tempo occupate dall’Isis. Il nostro compito è smantellare le organizzazioni criminali operando lontano dal territorio nazionale ma con ricadute dirette sulla sicurezza interna”.
“L’esercito europeo è l’obiettivo da perseguire. Probabilmente non assisterò alla sua nascita, ma i miei nipoti sì”. “Mettere in comune le risorse per la produzione di armamenti è la base di un’alleanza che eviti conflitti futuri”
I foreign fighter rappresentano una minaccia concreta. “Con la caduta dello Stato islamico, il rischio terroristico si è amplificato, assumendo una connotazione magmatica, più minacciosa e insinuante. La battaglia di Mosul, per intenderci, è uno scontro convenzionale tra linee opposte; oggi invece i terroristi ricorrono a metodi non convenzionali e ibridi, finalizzati a influenzare l’opinione pubblica o a interferire nei processi elettorali stranieri attraverso la propaganda sui social network. In Ucraina si sono riscontrate minacce ibride, come in Libia e nella Repubblica centrafricana”.
Ai tradizionali domini di terra, aria e mare si aggiungono nuovi campi di guerra: spazio e cyberspazio. “Il ruolo dell’opinione pubblica è sempre più rilevante e gli strumenti per orientarla sono le armi di un conflitto capace di provocare insorgenze popolari. L’Europa non può farsi trovare impreparata”. Le accuse di interferenze russe hanno riguardato i processi elettorali di diversi paesi europei, Italia inclusa. “Manca la percezione dell’urgenza”, replica secco il generale Graziano che, nel suo ruolo, è anche consigliere militare dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea, lo spagnolo Josep Borrell. Il quale, in una delle prime uscite pubbliche, citando espressamente la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha dichiarato che “dobbiamo prendere il destino nelle nostre mani”, aggiungendo che una politica estera europea comune, ma non unica, è destinata a coesistere con quelle nazionali. “All’epoca del conflitto nella Bosnia-Erzegovina, dove furono inviati 60 mila militari, l’Europa era mossa da un senso di urgenza andato poi smarrito. Le ragioni sono diverse. Tra gli stati membri la percezione della sicurezza è differenziata: quelli meridionali e rivieraschi avvertono la minaccia proveniente dall’Africa, quelli orientali invece denunciano il rischio di una nuova assertività russa. Conciliare sensibilità diverse è arduo”.
A Bruxelles si fa un gran parlare di cose distanti dal cittadino, mentre su sicurezza e lotta al terrorismo, questioni rilevanti per la sopravvivenza di una società, si dice assai poco. “E’ un paradosso, in parte dovuto al recente avvio della Strategia globale, che ha solo tre anni di vita, e alla tendenza generale di considerare la Nato come un attore unico e assoluto. Si tenga poi presente che talvolta s’impiegano degli anni per misurare gli effetti tangibili delle missioni militari. Trasmettere il senso di urgenza è fondamentale perché se l’Ue non torna ad avere un’unica voce sulle crisi in corso in Libia, nel Sahel e in Siria le conseguenze per la sicurezza interna saranno inevitabili. Bruxelles deve ambire a diventare un global security provider: soltanto così potrà giocare un ruolo in uno scenario globale dominato dalla competizione tra Stati Uniti e Cina”. Per la prima volta, l’Europa stanzia un budget di 13 miliardi di euro destinati al Fondo europeo di Difesa per il periodo 2021/2027. “E’ una novità rilevante perché il settore ha bisogno di risorse. La spesa militare globale dei paesi Ue ammonta a circa 280 miliardi di dollari, seconda soltanto a quella del Pentagono”.
A detta del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, la Cina va coinvolta nelle prossime discussioni sul controllo nucleare. Il Dragone possiede missili balistici in grado di raggiungere Europa e America. “Mi sembra che da diverso tempo anche la Russia si sia dotata della medesima capacità. L’Europa deve sedere ai tavoli internazionali esprimendo una voce unica e forte, senza divisioni interne”. Il presidente americano Donald Trump è tornato sull’annosa questione del 2 per cento, la quota di budget da destinare alla difesa Nato. L’80 per cento delle spese per il meccanismo di Difesa atlantica proviene da paesi esterni all’Ue. “Anche noi riteniamo che si debba fare di più. Le industrie della Difesa richiedono una certezza programmatica almeno ventennale, non si può intervenire in una logica di corto respiro o, peggio ancora, in modo erratico e mutevole. La pianificazione richiede stabilità decisionale”.
A proposito di cyberspazio e guerra ibrida: l’Italia è l’unico paese fondatore dell’Ue ad aver sottoscritto il memorandum d’intesa per la Via della Seta. Una mossa dal valore geopolitico. “La Strategia globale, spingendosi oltre i confini europei, guarda verso l’Asia. Già nel 2003 l’Europa a 15 siglò un partenariato strategico con la Cina su aspetti anche militari, e dal 2011 il dialogo prosegue con un incontro annuale tra l’Alto rappresentante e il ministro della Difesa nazionale cinese. Pechino non rappresenta una minaccia ma un’opportunità e una sfida strategica: il dialogo va coltivato tenendo presente che esistono valori e interessi europei da salvaguardare”. Gli Stati uniti non sembrano persuasi dalle rassicurazioni del governo italiano sul 5G. “I big data sono il petrolio dei giorni nostri, e la protezione delle infrastrutture strategiche contro le infiltrazioni cibernetiche resta una priorità assoluta”.
La cooperazione tra i servizi di intelligence stenta a decollare. “Condividere le informazioni è fondamentale, anche in chiave preventiva. Bisogna compiere passi avanti per superare un approccio eminentemente nazionale, e questo discorso vale anche per il partenariato tra Ue e Nato: maggiore è la condivisione, maggiore è la sicurezza collettiva”. Secondo il presidente francese Emmanuel Macron, la politica europea verso la Russia non può limitarsi alle sanzioni. “La Nato ha adoperato un binomio convincente: dobbiamo coltivare il dialogo con Mosca rafforzando nel contempo la nostra capacità di deterrenza”.