È scoppiata la bolla anti Brexit
Le ragioni della sconfitta dei Lib-dem e del fronte europeista, tra calcoli sbagliati, proposte spaventevoli e liti interne. Il raggio di sole che non c’è, ci dice il People’s Vote
Addio remain, è stato bello. Finisce oggi una campagna elettorale durata quasi quattro anni, il cui refrain era che il referendum era stato un inciampo della storia e che bisognava rifare, perché a una seconda prova avrebbe vinto a mani basse il remain. Così dicevano. Ma le cose in realtà sono un po’ più complicate di così. Conta dei voti alla mano, la somma di Labour e Lib-dem è più della somma di conservatori e Brexit Party. Ma, con il maggioritario inglese, il numero dei voti che si prende conta poco o nulla. E soprattutto, i voti, se li lasci lì, non servono a niente. Occorre andarseli a prendere. E questa cosa gli europeisti Lib-dem e Labour non l’hanno saputa fare. Sono bravissimi a organizzare sottoscrizioni e marce ma a raccogliere voti no. In queste ultime settimane hanno sbagliato tutto quello che potevano sbagliare prendendo alcune cantonate clamorose:
Revoke 50: era una posizione troppo radicale, anche agli occhi dei remainers. Agli occhi di un inglese il voto del 2016 non può e non deve essere ignorato.
La campagna tutta concentrata su Jo Swinson: chi si è illuso che bastasse contrapporre una leader giovane, carismatica, europeista a due uomini di mezza età entrambi anti europei, si sbagliava. Jo Swinson, ottima sulla carta, si è rivelata settimana dopo settimana, debole, confusa, incerta.
Il Tactical Vote: ma quando mai, nella storia, il voto utile ha risolto un elezione? Mai. E la ragione è sempre la stessa: se si vuole sommare i voti di due partiti, occorre che i loro leader si siedano a un tavolo e scrivano un accordo di desistenza. Perché funzioni occorre che a turarsi il naso siano i leader, non gli elettori. Che, giustamente, non troveranno mai buone ragioni per fare quello che i loro stessi leader non hanno voluto fare.
Così, la notte di Santa Lucia ha portato oltre alla fine del corbynismo per come lo abbiamo conosciuto, anche la fine dei Lib-dem, che solo a maggio erano al 20 per cento e che ora sono schiacciati al 10, con solo 11 seggi. Neppure i leader più popolari e famosi del partito sono stati eletti: Jo Swinson, la leader che solo qualche settimana fa parlava dell’ipotesi di diventare premier, non ha vinto il suo seggio e anche quel Chuka Umunna che solo un anno fa sembrava l’astro nascente del Labour non corbyniano e l’erede di Tony Blair, rimarrà a casa. Il caso del suo seggio è esemplare: 13 mila voti per lui, 11 mila per i Labour, e 17 mila per la candidata conservatrice che ha vinto.
Così, tra scaramucce e dispetti, finisce la storia del remain, la rivincita che non si è mai giocata. E che, forse, si sarebbe pure vinta, visto che i voti c’erano.
Solo, come dicevamo, i voti bisogna andarseli a prendere, altrimenti non servono a niente. Così, i remainers che fino a due giorni fa chiamavano i giornalisti per rilasciare interviste che sapevano di vittoria oggi piangono lacrime amare. Il portavoce di People’s Vote, Thomas Cole, che abbiamo sentito euforico non più tardi dello scorso lunedì, questa mattina ci ha svegliati con una mail amarissima: “Alla fine, si vede che non doveva essere. Niente succede per caso, nella vita, e sono certo che il sole sorgerà ancora. Ma mentirei se dicessi che in questo momento c’è anche solo un raggio di sole nel mio cuore”. La storia del remain finisce così. E sarà ricordata come quella della maggioranza che non c’era.