Il governo spagnolo appeso all'indipendentismo catalano, e a una telefonata
Il socialista Pedro Sánchez ha ricevuto da re Felipe l’incarico per formare un governo, c’è un mezzo accordo ma mancano pezzi
Milano. Pedro Sánchez, presidente del governo spagnolo facente funzioni, leader del Partito socialista (Psoe), ha ricevuto mercoledì notte da re Felipe VI l’ennesimo incarico di formare un governo, dopo due giorni di consultazioni con i partiti. E’ la terza volta che il re si affida al leader socialista, ed è la terza volta che Sánchez riceve l’incarico senza avere uno straccio di maggioranza in Parlamento. Al contrario delle due volte precedenti, tuttavia, a questo giro Sánchez ha quanto meno in mano un accordo di governo già mezzo negoziato per un “esecutivo progressista” con Unidas Podemos e con l’appoggio di Esquerra Republicana (Erc), gli indipendentisti catalani di sinistra. Piccolo ripasso: il 10 di novembre il Psoe vince le quarte elezioni politiche in quattro anni mantenendo i voti che aveva nella legislatura precedente. Poche ore dopo l’annuncio dei risultati, senza nemmeno simulare negoziati più ampi, Sánchez si presentava in conferenza stampa con Pablo Iglesias, il leader di Podemos che aveva sbertucciato fino a qualche giorno prima, per annunciare un grande accordo programmatico per un governo di sinistra, sugellato da abbraccio fraterno. C’è un problema: Sánchez, Iglesias e gli altri partitini regionali scelti come alleati di coalizione non hanno voti a sufficienza in Parlamento per formare un governo, e hanno bisogno di un pugno di astensioni durante la seconda votazione per la fiducia, quando basta la maggioranza semplice per far partire l’esecutivo. Alla destra i voti non si possono chiedere, se no che governo progressista sarebbe?, e quindi rimane una sola opzione disponibile: Erc, la sinistra indipendentista catalana, il cui leader, Oriol Junqueras, è attualmente in prigione nell’ambito di un procedimento giudiziario sostenuto anche da Sánchez. Capirete perché l’accordo di governo è soltanto “mezzo negoziato”.
Nelle scorse settimane i negoziati tra Psoe ed Erc sono stati spossanti, tutti sono convinti che alla fine questo governo si farà, ma bisogna vedere a quali condizioni. La prima concessione è stata che, dopo aver ottenuto l’incarico dal re, Sánchez ha annunciato un round di colloqui con tutte le forze politiche e con tutti i governatori regionali, tra i quali spicca Quim Torra, il governatore indipendentista catalano (nota: Torra fa parte di JxCat, il partito della destra indipendentista, ed è al governo di Barcellona in alleanza con Erc, la sinistra indipendentista). Sánchez chiamerà Torra al telefono la settimana prossima, e già questa chiamata è una piccola rivoluzione: per mesi, durante tutta la campagna elettorale, Torra aveva chiesto più volte di poter parlare con Sánchez, ma Sánchez, pressato da destra, si era negato accampando scuse. Adesso che i ruoli si sono invertiti, e che è Sánchez quello che ha bisogno di parlare con Torra per tenersi buoni gli interlocutori indipendentisti, il governatore catalano alza la posta: io rispondo sempre a tutte le telefonate, ha fatto sapere Torra, malizioso, ma certamente una chiamata nell’ambito di un giro di contatti con tutti i governatori non è sufficiente. Il governo locale catalano adesso vuole instaurare rapporti “bilaterali”, un po’ come si fa tra stati sovrani, per poter parlare di “autodeterminazione” e di “amnistia” (quest’ultima serve ai leader indipendentisti incarcerati dopo il referendum illegale del 2017, come Oriol Junqueras).
Ci sono stati anche gesti di buona volontà, e i portavoce di Erc da quando hanno aperto i negoziati con Sánchez sono sommersi di critiche e di minacce da parte dell’ala dura dell’indipendentismo. Ancora non è stata fissata una data per il voto di fiducia: Sánchez sperava di farsi votare premier entro Natale, ma quasi sicuramente si andrà ai primi di gennaio: Erc vuole aspettare almeno il 20 dicembre, quando il tribunale di Giustizia dell’Unione europea deciderà se Junqueras ha diritto o meno al suo seggio di eurodeputato, carica per la quale è stato eletto ma che non ha potuto ricoprire causa incarceramento, e alla conseguente immunità parlamentare.