Un clown in formato statista
C’è un populismo squinzio, banale, noioso e un populismo chic, pieno di sorprese e imprevisti. Perché con Johnson ci sono alte probabilità che ricorderemo la Brexit come il primo di una serie di atti fanaticamente favorevoli alla globalizzazione
Dopo la vittoria di Johnson è venuto il momento di guardare alla Brexit, e a Johnson stesso, dall’altra parte. Ci ragioniamo qui da un po’, ma insomma non si può essere fissati, come la povera Jo Swinson che voleva rovesciare il verdetto antieuropeo del 2016 d’imperio, ed è finita fuori dal Parlamento, o neutrali e furbetti come Corbyn, che va a casa con i suoi many che erano i few; ed è vero che BoJo è un bugiardo, ma in politica le bugie hanno le gambe lunghe e il cagnolino al seguito, basta che siano sfarzose e collegate a una entusiastica ambizione per sé e per il mestieraccio, mentre le modeste verità spesso zoppicano. E poi ci sono la maledizione e la benedizione Churchill, con Cameron che lo derubrica ad arnese del passato e fa la fine che ha fatto mentre Johnson ne è biografo e groupie e alla fine sfonda.
Anche su Trump e Johnson si è fatta parecchia confusione. BoJo non è, per dirla con Da Empoli ormai tradotto anche in taiwanese, un “ingegnere del caos”, sebbene bazzichi l’imprevedibile e senza troppi scrupoli. Del caos è semmai un artista, al servizio del popolo in quanto membro cospicuo dell’establishment. Il suo consigliere Dominic Cummings è personalità cupa, usa efficaci metodi truffaldi di propaganda e al di là della propaganda, d’accordo, ma in un contesto di coscienza anglocentrata molto peculiare, irriducibile agli schemi soliti e alla stessa storiaccia di Cambridge Analytica. C’è un populismo squinzio, banale, isterico, ripetitivo, noioso, e un populismo chic, pieno di sorprese e di imprevisti. Il sindaco che governò Londra multiculti in uno spirito fiero di apertura e di gioco è già stato beccato a sparlare del protezionismo a un vertice di stato, e a un altro vertice sbevazzava con Trudeau e Macron cazzeggiando su quanto è comico The Donald. Da Johnson ci si può aspettare il peggio, come l’Economist che lo ha bollato come il peggiore dei premier, e il meglio, come l’ex direttore dell’Economist che ora prevede un BoJo moderato, rassembleur, One Nation Tory. Vedremo.
La Brexit inaugura la serie populista un paio di mesi prima dell’elezione di Trump, d’accordo. Ma è miope non considerare che i britannici sono entrati nel 1973, cioè vent’anni dopo l’inizio del processo di convergenza europeista, e non hanno mai creduto né in cenacoli alla Jean Monnet né in Maastricht o euro né in Schengen, libera circolazione delle persone, che peraltro a Londra circolano parecchio e circoleranno, limitando alle merci scambiate il loro raggio di interesse. E vedere la Brexit, che è la chiave ovvia delle elezioni britanniche, dall’altra parte, ecco, vuol dire anche svolgere una considerazione fin qui sottaciuta: se ne escono quando hanno constatato che malgrado tutto l’Europa faceva sul serio nel bene e nel male, e su moneta fisco bilancio Banca centrale giurisprudenza direttive Parlamento e correttezza politica il livello decisionale intergovernativo, a base franco-tedesca, esprimeva una sospetta tendenza alla sovranità di un quasi superstato. Vediamo ora che cosa fa il giornalista churchillista e clown virato in statista, ma se le cose si dovessero mettere come è possibile, se non probabile, ricorderemo la Brexit come il primo di una serie di atti fanaticamente favorevoli alla globalizzazione, la City come una nuova Singapore, e ostili a nuove forme di sovranismo, ché ai britannici basta la loro di sovranità. Quando la Bestia del senatore Salvini dice “go Boris!” pecca forse di un eccesso di ottimismo animalesco.