È caduto il muro rosso
Il Labour fa scudo a difesa di Corbyn e cerca altrove i colpevoli della sconfitta. La working class perduta
Milano. Jeremy Corbyn, leader del Labour, ha perso due elezioni di fila, dopo che il suo partito arrivava da altre due sconfitte. Nell’ultima notte elettorale della tragedia corbyniana, il “muro rosso” delle roccaforti laburiste è venuto giù ed è stato sostituito da un “muro blu” conservatore, uno spostamento “tettonico”, come ripetono i commentatori. Corbyn non ha parlato delle vittime di questo swing, i sessanta parlamentari che hanno perso il loro seggio, ha detto di essere “orgoglioso” del suo manifesto politico e contento di averlo sventolato “in ogni angolo” del Regno Unito, e quanto a sé ha detto che non si candiderà alle prossime elezioni, ma non ha dato indicazioni chiare sui tempi della successione. Probabilmente sarà infine costretto a fornirle: le pressioni sono tante. Molti si aspettavano che Corbyn si dimettesse subito (è la tradizione del risveglio dopo la notte elettorale inglese: chi perde se ne va) e ogni giorno in più di resistenza è vissuto come un tentativo di far passare la tempesta e poi non andarsene più. Intanto i corbyniani cercano i colpevoli della sconfitta: la Brexit che poi tutti volevano, i media contrari, i blairiani, il voto tattico – le cavallette, basta che la responsabilità sia degli altri, lontano dal leader.
Anche questo tentativo – delineato in documenti consegnati a politici e attivisti – è vissuto come il segno della volontà di Corbyn di resistere, non soltanto per la caparbietà che contraddistingue questo veterano della politica settantenne, ma anche perché il Labour è diventato una macchina al servizio del corbynismo utilissima oggi come scudo. L’obiettivo è, se non salvare Corbyn, salvare almeno la sua dottrina e forgiare una successione in continuità con questi ultimi quattro anni di sconfitte e di trasformazione radicale. Il fulcro del Labour corbyniano è Momentum, “la guardia pretoriana” formata da 40 mila persone che è riuscita a dare energia al partito con la mobilitazione e allo stesso tempo è stata capace di manovre burocratiche brutali che hanno portato i corbyniani in tutte le posizioni di peso del Labour. Non è un caso che, nella notte elettorale mentre prendeva forma la sconfitta, un esponente della stagione blairiana-browniana come Alan Johnson abbia detto in diretta tv non soltanto che Corbyn è stato un disastro ma che Momentum, “un partito nel partito che ne deve salvaguardare la purezza, deve andarsene” ora e subito: di fianco a lui era seduto Jon Lansman, architetto di Momentum e del corbynismo, in silenzio (e con la sua solita camicia colorata). Alan Johnson, che era un musicista-postino marxista prima di entrare nel sindacato e poi sposare l’abolizione della clausola 4 che ha sancito la nascita del New Labour, ha toccato il punto nevralgico della questione laburista oggi: la working class.
Si parla di successione, di continuità, di rivoluzione incompresa, di colpe del passato e del fatto che oggi la sinistra perde perché ancora paga la sbornia riformista della terza via – che incidentalmente vinceva maggioranze straordinarie e che comunque è nata 20 anni fa – ma nessuno, nemmeno Lansman che è un pensatore, risponde alla domanda principale. Questa: com’è possibile che un partito creato per rappresentare la classe lavoratrice e che oggi si rivolge a quell’elettorato chiedendo scusa per la stagione riformista che ha causato una nuova, furibonda lotta di classe – com’è possibile quindi che questo partito contro il privilegio e “per i tanti” sia riuscito a innescare un’emorragia di elettori della classe lavoratrice che si sono concessi a un Old Etonian dell’élite metropolitana com’è Boris Johnson?
Quando in campagna elettorale si parlava del “muro rosso” molti laburisti non si riferivano a quei seggi come a dei quadratini su una mappa, dicevano che erano “l’anima” del Labour, erano il Labour stesso: se collassa il muro, non si perde solo una maggioranza parlamentare, si perde la ragion d’essere. Ora che il muro non soltanto è stato abbattuto ma è già stato ricostruito dai Tory, i corbyniani gettano le responsabilità altrove, spostando in avanti la resa dei conti, convinti come sono di poter manovrare la macchina burocratica a loro favore. Due donne possono essere le candidate ideali, Rebecca Long-Bailey, protegé del cancelliere dello Scacchiere ombra John McDonnell, e Angela Rayner, che è legata al sindacato più grande del Regno, Unison. Sono le rappresentanti del corbynismo senza Corbyn (in politica estera e sull’antisemitismo sono molto meglio), che è la formula scelta dal Labour per la successione. I moderati hanno i loro nomi, Keir Starmer soprattutto (però è uomo e il Labour mai guidato da una donna oggi aspira a una donna), Emily Thornberry o anche (la nostra amatissima) Jess Phillips, ma molti sostengono che Corbyn sia disposto a tutto pur di non lasciare il post corbynismo nelle mani dei moderati. Tranne che rispondere all’unica domanda che conta.