L'invisibilità di un amore
Sopravviverebbe ai giorni nostri una storia clandestina come quella tra Mitterrand e Anne Pingeot?
L’eleganza. L’eleganza di aver aspettato che tutte le persone coinvolte – volenti o nolenti – in questa storia avessero lasciato questo mondo. In special modo chi avrebbe potuto sentirsi ferito dalla pubblicazione delle lettere. Un’eleganza che colpisce fin dalla copertina: lei, la protagonista (“di un film che nessuno vedrà mai” come la definì la figlia, Mazarine), che della ritrosia, del sottrarsi agli sguardi, del vivere nell’ombra ha fatto una religione, è di spalle. Gonna bianca orlata di nero, débardeur nero, sandali. Il volto, come sempre, è celato, ma l’atteggiamento, i gesti tradiscono un moto d’impazienza, quasi di stizza. Lui, vagamente ridicolo, con il ginocchio ripiegato e la mano posata sopra, sembra un tribuno romano che si appresti a pronunciare il suo discorso. Il profilo e il corpo intero tesi a cercare le parole giuste per piacere, per sedurre. Intorno il marmo, magnifico, delle colonne di quella che sembra l’acropoli di Atene. Lei è Anne Pingeot. Lui François Mitterrand. C’è già tutto in questa fotografia di copertina dell’edizione Gallimard delle oltre 1.200 lettere che l’ex Presidente della Repubblica Francese ha scritto alla sua amante di una vita, Anne: il mistero, le parole e come sfondo la Storia.
Nell’ambiente tutti sapevano ma nessuno parlava. Tacevano i giornali. Tacevano gli avversari così come i compagni di partito
Un amore implacabile, che quando con un servizio apparso su Paris Match nel 1994 divenne di pubblico dominio, scioccò il paese. Di colpo i Francesi scoprirono che il loro Président, che più di tutti – ma dopo De Gaulle – aveva plasmato identità e politica della nazione, che aveva alimentato un culto della personalità – sempre secondo solo a De Gaulle –, che era come un padre-padrone, intratteneva da oltre 30 anni una doppia vita: un’ amante molto più giovane, addirittura una figlia di 20 anni. Nell’ambiente, tutti sapevano. Nessuno parlava. Fatto straordinario e oggi inconcepibile. Tacevano i giornali. Tacevano gli avversari. Tacevano i compagni di partito. Taceva la televisione. Per via di un urbanissimo gentlement agreement, che riguardava tutti gli uomini e donne di potere, perché in Francia le amanti, les maîtresses, dai tempi di Enrico IV sono una cosa seria. E privata. La linea di demarcazione tra ciò che è necessario sapere per formarsi un’opinione era netta. L’agone in cui si misuravano i politici era il suolo pubblico e la vita privata non diventava in alcun caso metro di giudizio, ago della bilancia, arma da taglio o di distrazione di massa. Niente a che vedere con la gogna mediatica, il moralismo di ritorno e il gossip, orizzonte unico del dibattito, che oggidì divora tutto e tutti. Svilisce tutto e tutti. Fu lo stesso Mitterrand, ormai al termine della sua carriera, a dare il beneplacito alla pubblicazione. “C’est quand même une belle histoire”, pare abbia detto, quando Roger Thérond, storico direttore di Paris Match, gli sottopose le fotografie. “E’ dopo tutto una bella storia”.
E lo è davvero, una gran bella storia. Lo testimoniano queste luminose, appassionate, struggenti lettere d’amore. La prima passeggiata in riva al mare nell’agosto 1963. Il corteggiamento serratissimo, a suon di libri, dischi, teatri, concerti, film e citazioni. La carta intestata che ripercorre le tappe della sua carriera politica: Sénat, Assemblée national, Le président de la République, ma anche una carta d’imbarco dell’Alitalia con due parole d’amore scarabocchiate al volo. Il vous abbandonato solo dopo mesi dall’inizio della relazione. Le passeggiate notturne per le strade di Parigi (“grazie per i miei passi felici, di una sera felice, in una Parigi felice…”). Gli appuntamenti segreti fissati in librerie per apparire casuali (“Sarò venerdì 25 ottobre alle 15h30 a La Hune. A meno che preferiate un’altra ora dello stesso giorno. Nel qual caso ditemelo: mi libererò come vorrete. Mi siete mancata ieri. Ciao”). Le gite, le visite a musei a porte chiuse, e poi i numerosi viaggi (“come organizzare la nostra gita – la mia macchina è dal meccanico; dove mangiare? Cosa vedere? Problemi che non mi ero mai posto e che acquistano di colpo un’importanza incredibile!”).
Mitterrand le scrive sempre, assiduamente, più volte al giorno. Senza “abusare” mai della sua posizione di potere
Mitterrand le scrive sempre, assiduamente, più volte al giorno. Per raccontarle i fatti minuti delle sue giornate. Senza “abusare” mai della sua posizione di potere, ha il garbo di non tediarla con questioni politiche o beghe di carriera. Soprattutto le parla dei suoi sentimenti, mentre sullo sfondo sfila la Grande Storia: la morte di Kennedy; l’elezione a segretario del Partito socialista; l’elezione presidenziale; la malattia; il trattato di Maastricht. E’ chiaramente un modo per sentirla vicina e farsi perdonare la clandestinità, ma è soprattutto un modo per sedurla. A volte sembra un monologo. Di fatto lo è, dato che non sono incluse le risposte. La voce di Anne si sente solo a margine, in annotazioni per facilitare la comprensione del lettore. O la si percepisce in filigrana tra le parole di François. Le sue reticenze, i suoi dubbi, le sue ribellioni. Soprattutto le sue sofferenze. Perché Anne proviene da una famiglia conservatrice e cattolica. E intrecciare una relazione con un amico del padre, per altro sposato, non rientrava certo nei suoi piani per il futuro, quando a 20 anni da Clermont-Ferrand parte alla volta della capitale per iniziare gli studi universitari in Storia dell’arte. Più volte infatti tronca la relazione, tenta di allontanarsi, gli dà buca. “Che follia è questa? Sono restato tre minuti ai Deux Magots, e ho aspettato venticinque minuti, in piedi, sul marciapiede, stravolto, il tuo arrivo. Ti ho telefonato, preoccupato a morte. Ero agitato, senza capire il tuo comportamento, temevo un incidente. E’ incomprensibile. Non sai che tormento mi hai fatto passare. Un po’ di pazienza e saremmo stati al cinema, in pace. Provo troppo dolore, davanti a quest’ingiustizia. Ero così felice di vederti. E ti amo. F”. Ed è il 1976: stanno insieme da 13 anni.
Tutto è contro di lui: l’età, la posizione, la religione, la società, ma Mitterrand non molla. Non può competere con gli aitanti compagni di corso. Non può competere con la promessa di libertà degli anni universitari e neppure con il conforto di una famiglia “normale” negli anni dalla maturità. Sa che solo con l’intelligenza del cuore, la passione, la pertinacia e l’arte delle parole potrà vincere la sua battaglia e conquistare Anne, tenendola, prepotentemente, egoisticamente, narcisisticamente – è stato detto – legata a sé per tutta la vita. Le parole sono le sue uniche alleate. In loro sublima tutto ciò che non può darle altrimenti: l’energia della gioventù, la costanza della presenza, l’impeto della passione. Passa in rassegna tutta la gamma dell’amore, arrivando a toccarne tutti i tasti: le incertezze, i sensi di colpa, gli stupori, gli sconforti, i dubbi, i compromessi. L’esaltazione degli inizi, quando ogni ricordo è un incanto: “Amare di mercoledì, è peccato? Quanto vi amo, è forse troppo? Amarvi quanto vi ho amato mercoledì 18 dicembre dalle 20 alle 23 è peccato? E’ troppo? O troppo poco? Mi ci perdo. E’ tardi. Mi addormento. Vi porto con me. No. Resto con voi”. Gli scoramenti: “Tutto ciò è lacerante, mi lacera (la parola esprime bene ciò che voglio dire: una vita che si lacera, così, a brandelli, dopo di che…). Ma non sono né idiota né sordido (almeno, mi sembra) mi manca solo il coraggio. Dovrei lasciarti andare. A ciò che desideri e che evidentemente intralcio. Abbandonarmi a questo sentimento: tacere, sparire (dal tuo universo), lo farò senz’altro. A volte, spesso, mi ribello e voglio combattere”. E’ il 1971, la relazione dura da 10 anni e Anne vuole un figlio. O ancora la gelosia: “No, non faccio la collezione, cattiva Anne, che non capisce niente di niente. La nostra è storia così difficile che ha ben il diritto di essere unica”.
Il presidente era destinato a stupire i suoi concittadini anche dopo la morte. Grande statista, grande seduttore, ma anche poeta
Mitterrand era destinato a stupire i suoi concittadini anche dopo la morte. Incassato il duro colpo della rivelazione; quietatasi la curiosità morbosa della prima apparizione pubblica della famiglia segreta ai funerali di Stato; nel 2016 i francesi rimasero stupefatti di fronte alle lettere a Anne. Grande statista sì, grande seduttore anche, ma anche grande poeta? Nessuno se lo sarebbe aspettato. Per altro in un genere, il romanzo epistolare – perché di vero romanzo epistolare si tratta – che a partire da Rousseau, passando da Laclos, Madame de Staël, De Bergerac, e dall’ultimo film con Juliette Binoche Il mio profilo migliore, fino alla vetta inarrivabile di un’altra coppia clandestina di culto: Camus/Casarès, è considerato patrimonio nazionale. Bisognerà rassegnarsi al fatto che una delle indagini più lucide, sincere, penetranti, intime, perfino poetiche, di quel sentimento che “ha un bel nome, ma ama gli pseudonimi” (sto citando) porta la firma non di uno scrittore, non di un cantautore, ma di un uomo politico. Poi sono venuti i Bill Clinton, i Berlusconi, gli Holland, ma nessuno che sia riuscito a giustificare, a spiegare, agli occhi del mondo, ma soprattutto dell’amata quali sentieri tortuosi e solitari, quali labirinti dello spirito e della carne, quali scalate impervie attraversano l’amore e il desiderio. E fin dove sono capaci di arrivare.
Oggi le parole di Mitterand acquistano un nuovo e diverso significato. Una risonanza tutta particolare. Diventano un vademecum per sfatare i luoghi più comuni che hanno preso d’assalto la nostra società. Sulla carta l’affaire aveva tutte le caratteristiche del laido stereotipo: uomo politico di spicco, in crisi di mezza età, seduce ignara giovinetta, vittima inconsapevole. Al contrario – e proprio sulla carta per lasciare traccia e testimonianza – François fa carta straccia del cliché. L’Anne che emerge dalle sue parole non è mai vittima, non è mai sovrastata dagli eventi. Per quanto giovane, per quanto inesperta, li domina e la relazione è alla pari. “Dire che siete stata l’incantesimo improvviso, inaspettato della mia vita, che lo siete ogni giorno di più – dire che non potete fare affidamento su niente, tranne che sulla mia volontà immensa di darvi all’infinito senza chiedere in cambio nulla che possa rovinare ciò che amo in voi Anne, tutto ciò mi ha ridato armonia. Detesto le confidenze e non ne ho fatte. Il mio giardino privato era fuori discussione (perché è vostro, mio, e perché ciò che ci unisce deve essere protetto, difeso, rispettato), ero contento di assumermi la mia responsabilità che è intera: ho desiderato vedervi, vi ho incontrata, son stato felice, desideravo continuare ad esserlo. Ebbene, ecco la mia storia”. Più cristallino di così. Ancora le parole. Sue sorelle. Sue alleate. Lo salvano dal cliché. Sublimano le tristezze, le mancanze, le miserie. Incarnano quest’amore. Di fatto sono quest’amore. Quando anche l’ultimo ricordo sarà svanito, resteranno solo loro: le parole. A ricordarci che non ci sono solo Weinstein in circolazione.
“Eppure, è debolezza? Se amo, la donna che amo mi ama, allora il mio coraggio è immenso!”. Il segreto dell’energia del presidente
Anne, come abbiamo visto ritrosa fino all’ossessione, ha a lungo meditato sull’opportunità di pubblicare le lettere. E’ possibile divulgare al mondo una storia così privata e intima, senza cadere nel gossip o nella curiosità morbosa? Quando finalmente si è convinta, ci ha trascinato con lei sotto i cieli immensi di Hossegor (Mitterrand descrive sempre il cielo), sulle strade ghiacciate della Niève (François inanella incidenti stradali) o sui voli di stato, ma anche nel loro mondo privato fatto di piccole grazie, minime attenzioni, humour e minuzie quotidiane (la pantoufle, la pantofola, il soprannome dato alla vecchia auto scalcagnata; Agnès la tata; i progressi di Mazarine a scuola). Soprattutto ha ridato sonni tranquilli agli osservatori politici, svelando finalmente l’arcano su cui si arrovellavano da decenni: il segreto dell’energia viva che sembrava possedere Mitterrand in quegli anni. Si parlò all’epoca di una seconda giovinezza, senza conoscerne però la ragione profonda. Quando François incontra Anne, è impantanato in una lunga e solitaria attraversata del deserto in seguito allo scandalo dell’Observatoire. Poi, repentina la rinascita: risale la china, pubblica il suo libro migliore, Le Coup d’état permanent, e nel 1965 inaspettatamente partecipa alle elezioni presidenziali. Perde (contro De Gaulle: sempre lui!), ma emerge come leader incontrastato della sinistra francese. “Eppure, è debolezza? Se amo, la donna che amo mi ama, allora il mio coraggio è immenso!”. Svelato l’arcano.
All’apice della carriera, circolava una battuta: si diceva che le Président facesse l’amore recitando Claudel. Oggi è ancora presto per leggerlo all’amato. La frase “Tesoro, ti leggo un po’ di Mitterrand” buttata lì con nonchalance, rischia di raggelare anche il più focoso degli amanti, ma forse un giorno, tra le lenzuola, senza troppo imbarazzo, si potrà citare aprendo una pagina a caso: “Hai l’odore dell’estate, l’estate del nostro amore, il nostro amore di tutte le stagioni.”
Nb. Perdigiorno astenersi: qualsiasi paragone con la classe politica attuale sarebbe crudele oltreché superfluo. Non si spara sulla croce rossa.
Nb2. Editori cercansi: Le Lettres à Anne non sono ancora state tradotte né pubblicate in italiano (!!). La maldestra traduzione che non rende loro giustizia, infatti, è mia.
L'editoriale dell'elefantino