La dimensione morale e i calcoli pragmatici dell'attacco evangelico a Trump
Il riposizionamento della destra religiosa con un editoriale sulla rivista Christianity Today
Roma. Il termine che s’incontra più frequentemente nell’editoriale con cui la rivista evangelica Christianity Today ha scaricato Donald Trump, dicendo che va rimosso dall’incarico, è “moralità”, in varie derivazioni e contesti: “azioni immorali”, “personaggio immorale”, “essere umano moralmente perduto e confuso”, “deficienze morali”, “volgare immoralità” e così via. Il massiccio ricorso al vocabolario moralizzante è il minimo sindacale per un organo di informazione e riflessione evangelico fondato da Billy Graham, il leggendario leader cristiano che è stato consigliere spirituale di una manciata di presidenti, ma allo stesso tempo coglie un aspetto dell’impeachment in corso che nei commenti è generalmente scavalcato da altro: si tratta innanzitutto di un processo morale. La procedura è stata concepita per testare l’adeguatezza etica di una persona che è stata chiamata a governare la scintillante città sulla collina che tutte le nazioni guardano, faccenda evangelica che non può essere ridotta a questioni di violazioni costituzionali o a mere infrazioni della legge. Quelle considerazioni vengono dopo nel ragionamento che il direttore della rivista, Mark Galli, ha esplicitato nel fondo che ha scatenato una bolgia nella destra religiosa. Quando Trump abusa del suo potere per danneggiare un avversario politico, triangolando con un altro capo di stato, non viola soltanto la Costituzione ma, cosa molto più importante, compie un gesto “profondamente immorale”. Questo è il cuore dell’atto d’accusa mossa da Christianity Today, che in fondo è in linea con uno strumento di giudizio pensato dai Padri fondatori anche per disarcionare un presidente indegno che non tradisce la Costituzione e non viola nemmeno una legge.
La dimensione morale dell’accusa è sfuggita a molti, ad esempio al New York Times, che dando conto dell’editoriale ha scritto: “Il giornale dice che il presidente ha abusato del suo potere e ha violato la Costituzione”. Questi elementi ovviamente emergono, ma non sono l’anima di un’accusa che sfocia nell’auspicio che il presidente venga rimosso: che ciò avvenga attraverso l’impeachment oppure con il voto del prossimo novembre è materia di “giudizio prudenziale”, questione di opportunità, passibile di revisione e dibattito. Inappellabile, invece, la sentenza morale, questione di “lealtà verso il Creatore dei Dieci comandamenti”.
Il solo account Twitter di Trump, scrive Christianity Today, è “l’esempio quasi perfetto di un essere umano moralmente perduto e confuso”. Il presidente ha dato immediatamente indiretta conferma dell’osservazione con una tirata, punteggiata da refusi, sulla rivista di “estrema sinistra” che ha tradito la vocazione della famiglia Graham e ora abbandona il presidente che ha fatto più di chiunque altro per la comunità evangelica. Franklin Graham, figlio di Billy, ha aggiunto materiale infiammabile castigando la posizione del giornale e svelando – ma nessuno è cascato dalla sedia alla notizia – che nel 2016 il padre ha fieramente votato, sostenuto e fatto votare Trump.
E qui s’innesta la dimensione strettamente politica della controversia evangelica. Trump ha avuto un sostegno poco meno che plebiscitario da parte di un popolo politicamente coeso e militante che in buona parte ne disprezzava le qualità umane, ma apprezzava altresì le promesse tangibili che aveva fatto e poi tutto sommato mantenuto: giudici della Corte suprema graditi, difesa della libertà religiosa, taglio dei fondi pubblici alle organizzazioni pro choice. La presa di posizione di Christianity Today squalifica il calcolo pragmatico che finora è stata la stella polare della navigazione evangelica. Di fronte alla manifesta inadeguatezza morale, quel ragionamento mondano non è più sostenibile: “Ricordatevi chi siete e chi servite”, scrive la rivista agli evangelici che continuano a sostenere Trump.