L'ascesa dell'imperatore Xi
Il successo della Cina e del suo leader che ama il “Trono di Spade” e lo schiacciamosche. Un nuovo libro
Roma. Quando il 16 novembre 2016 Xi Jinping cenò con Matteo Renzi in Sardegna, facendo eccezione alla tradizionale prudenza dei leader occidentali nel toccare certi temi in questo tipo di colloqui, a un certo punto l’allora presidente del Consiglio italiano chiese a bruciapelo: “Quando arriverete alla democrazia? Ci sarà un processo che vi condurrà a questo traguardo?”. Senza perdere la sua abituale aria serafica, il leader cinese rispose: “Democrazia? E perché. Se vedo quello ch’è successo in Gran Bretagna con Brexit, quello che è successo alla Clinton, e quello che potrebbe succedere a lei con il referendum, mi domando: la democrazia è la soluzione migliore?”.
L’episodio lo racconta Gennaro Sangiuliano nel volume “Il nuovo Mao. Xi Jinping e l’ascesa al potere nella Cina di oggi” (Mondadori, 276 pp., 22 euro). Nel presentare questo suo nuovo ritratto, dopo quelli dedicati a Vladimir Putin, Hillary Clinton e Donald Trump, il direttore del Tg2 avverte subito che di Xi “si sa davvero poco. A disposizione abbiamo soltanto le scarne notizie che, nel tempo, gli apparati ufficiali di Pechino hanno fatto filtrare”. Però la biografia “può essere definita con sufficiente chiarezza unendo i punti di un’immaginaria mappa”. Sangiuliano dedica molto spazio al contesto, ricostruendo un’ampia storia della Cina del Novecento. Ma riesce a trovare anche più di quel tipo di aneddoti in apparenza minori ma che, come insegnava già Plutarco, aiutano a decifrare un personaggio. Ad esempio, che Xi è un appassionato del “Trono di spade”, di cui “ama gli intrecci di potere che fanno da sfondo alla lotta per il dominio dei ‘sette regni’, un contesto multipolare dal quale dovrà emergere un vincitore”. In Cina ne danno una versione depurata dalle scene di sesso e violenza, ma lui accede all’originale.
Indicativo anche l’aneddoto sullo schiacciamosche in plastica che Xi ha acquistato per pochi yuan al mercato, e che batte con forza sulla scrivania di legno ogni volta che fa un discorso contro la corruzione. “La Cina è infestata di mosche da schiacciare e tigri da stanare”, ripete. Cioè, piccoli funzionari che chiedono mazzette e alti papaveri che accumulano ricchezze approfittando del sistema delle opere pubbliche e della grandi transazioni. Nei primi cinque anni del suo “regno”, Xi avrebbe mandato in galera almeno 1,3 milioni di “mosche” e 280 “tigri”.
È stato proprio manovrando questa “Mani Pulite alla cinese” che Xi è asceso al potere, levando di mezzo chi gli era di intralcio, e modificando la Costituzione per poter rimanere presidente a vita. Effetto psicologico: in quei giorni alla Borsa di Shenzhen tutti i titoli di aziende che avevano nel nome la parola “imperatore” hanno avuto rialzi. Per questo Sangiuliano definisce Xi come “l’uomo più potente del mondo”. Trump e perfino Putin hanno limiti costituzionali alla durata del loro mandato, e magnati come Jeff Bezos devono comunque confrontarsi con la politica. Per questo lo paragona anche a un “nuovo Mao”, sebbene all’epoca del vero Mao durante la Rivoluzione Culturale lui e la sua famiglia caddero in disgrazia. Xi, in particolare, finì addirittura in un campo di rieducazione ad accudire maiali, mentre il padre finì in galera. Generale e reduce della Grande Marcia che era arrivato a essere capo della propaganda, vicepremier e vicepresidente dell’Assemblea nazionale del Popolo, Xi Zhongxun riuscì comunque a recuperare la sua influenza all’epoca di Deng Xiaoping. E suo figlio se ne avvantaggiò: come ricorda Sangiuliano, Xi Jinping è comunque un classico “principe rosso”, come si dice in Cina. Il rampollo di uno dei dirigenti della fase eroica del Partito comunista, cui le persecuzioni durante la Rivoluzione Popolare hanno aggiunto un ulteriore blasone. E anche quel po’ di quella spietatezza appunto mostrata nella ascesa al potere.
Potere assoluto a parte, Xi è diverso da Mao nel senso che la sua è una Cina in espansione economica e all’avanguardia del capitalismo globalizzato. Ma si tratta di un capitalismo sui generis, con terribili tratti autoritari cui Sangiuliano dedica molte pagine. Indicative, ad esempio, quelle sul caso Bo Xilai, il capitolo sulla persecuzione degli editori, o il racconto della protesta di Hong Kong. Mentre la crescita rallenta, le celebrazioni per i 70 anni della Repubblica Popolare sono state uno sfoggio di potenza militare, e la strategia della Via della Seta appare sempre più come un progetto espansionista di fronte al quale il libro consiglia di fare estrema attenzione.