Lo spagnolo Sánchez è a tanto così da fare il governo, a suon di compromessi
Il leader del Partito socialista è convinto che ormai la coalizione sia pronta: vorrebbe il primo voto di fiducia in Parlamento il 27 dicembre (è previsto che lo perda) e il secondo, con maggioranza necessaria più bassa, il 30
Milano. In tutto il 2019, la Spagna ha avuto un governo soltanto per un mese e mezzo. L’esecutivo socialista di Pedro Sánchez è caduto infatti il 13 febbraio scorso, dopo un’imboscata parlamentare delle destre in unione con i partiti autonomisti e indipendentisti – gli stessi che adesso si apprestano a riportare Sánchez al potere, non la migliore garanzia di stabilità. Non che il paese se la sia cavata male in questi mesi con un governo facente funzioni guidato dallo stesso Sánchez, così come era successo nei lunghi mesi di interregno un paio di anni fa: il pil ha continuato a crescere stabilmente, le elezioni europee hanno un buon posizionamento della Spagna a livello continentale, Madrid ha organizzato la conferenza ambientale Cop25 dopo che il governo del Cile è stato sommerso dalle proteste di strada. Insomma: uno quasi si dimentica che nel frattempo ci sono state due elezioni in poco più di sei mesi e dal risultato quasi identico.
Nel 2019 Pedro Sánchez ha governato la Spagna per poco meno di un mese e mezzo, ma se tutto va secondo i suoi piani potrebbe perfino aggiungere un paio di giorni al suo magro record. Il leader del Partito socialista (Psoe) è convinto che ormai la coalizione di governo sia pronta, vorrebbe tenere il primo voto di fiducia in Parlamento il 27 dicembre (è previsto che lo perda) e il secondo voto, con maggioranza necessaria più bassa, il 30 di dicembre, così da stappare lo champagne di capodanno già nominato e insediato.
Tutto sembrava essersi bloccato con il riesplodere della questione catalana: la Corte di Giustizia dell’Unione europea la settimana scorsa ha detto che il leader indipendentista Oriol Junqueras, attualmente in prigione, avrebbe avuto diritto di essere scarcerato e di ricevere l’immunità perché era stato eletto alle ultime elezioni europee, mentre era in custodia preventiva. Il partito di Junqueras, Erc, è determinante per la formazione del governo, e per un momento era sembrato che i negoziati stessero per crollare. Poi Sánchez ha escogitato un piano semplice per salvarsi: cedere.
Del futuro di Junqueras deve decidere il Tribunale supremo spagnolo, che ha davanti due strade: sostenere che, siccome ormai Junqueras è stato condannato in via definitiva a 13 anni, la sentenza della Corte europea non è più valida; oppure scarcerare Junqueras e consentirgli di diventare europarlamentare. Il Tribunale supremo prima di prendere la decisione ha sollecitato molti pareri legali, tra cui quello dell’Avvocatura dello stato, l’organo legale in seno al governo Sánchez. Quasi sicuramente il governo spingerà l’Avvocatura a dare parere di scarcerazione (non sarebbe nemmeno una novità, era già successo in un’occasione precedente) così da mostrare agli indipendentisti di Erc un gesto di buona volontà. Difficilmente il Tribunale supremo scarcererà Junqueras, ma intanto Sánchez avrà messo nero su bianco che lui ci ha provato. E’ diametralmente l’opposto di tutte le promesse fatte da Sánchez in campagna elettorale, quando la retorica delle destre aveva imposto un clima di zero contiguità con le istanze dell’indipendentismo catalano.
E se anche l’Avvocatura dovesse dare un parere contrario alle aspettative, ormai Erc ha così tanto da guadagnare da un accordo con Sánchez che la formazione del governo sarebbe soltanto rimandata. I catalani avrebbero da chiedere nuove concessioni e Sánchez non avrebbe grosse remore a concederle.
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