Il populismo colto di Johnson
Il premier britannico recita in greco l’Iliade (che invidia) e ci mostra la forza delle rivolte contro la retorica banale. In difesa delle sardine
Un video ci ha stupiti, forse, o confermati. Boris Johnson, premier britannico di fresca vittoria, clown emerito rimpannucciato dalla fidanzata, dalla Brexit e da Mr Corbyn buonanima, cravatta sempre slargata, capelli arruffati e calzino rigorosamente corto come l’intero establishment europeo, Italia modaiola esclusa, da sempre populista in waiting, in realtà cosmopolita come pochi, come gli etoniani hanno da essere, globalizzatore e molto inglese, ecco Boris Johnson sa a memoria e può recitarlo in un incomprensibile greco antico, probabilmente vero e non artefatto perché mal accentato, quasi un intero capitolo dell’Iliade di Omero. Una buona notizia che genera invidia in chiunque, me per primo che sono limitato, e si sente lo sforzo, a qualche passo liceale di Dante Alighieri, in italiano già moderno, e a quattro versi quattro di Orazio o di Catullo o di Lucrezio, poca roba anche a aggiungerci qualche Virgilio.
“Go Boris!”, gli ha detto via stampa e social il senatore Salvini, quando ha vinto. Ma come detto i due sono molto diversi, non che sia necessario conoscere l’Iliade a memoria nella lingua in cui fu scritta o dettata o vattelapesca, però basterebbe a fare un populista che ci piace un italiano elegante, conquistato e non con scuole elitarie bensì con una capacità mimetica, che è poi spesso la nostra forza, e con una misura di disciplina e onore, come dice la Costituzione scritta in italiano antico. La prima lezione del video è che per parlare al popolo, conquistare l’Emilia o la Calabria, gestire lo stato, andare al governo, stabilizzare un programma politico in Europa, o anche fuori, dipende, non è affatto necessario essere rozzi. Anche, certo. Il BoJo del video era sindaco di Londra, città parecchio filologica e multilinguistica. Come premier, il suo linguaggio della vittoria, e presumibilmente quello del dominio, risente e risentirà della necessità di farsi capire, e il formulario per ora si limita praticamente a tre parole non rozze né scollacciate ma certo non complesse, le famose get Brexit done che gli hanno fatto sbaragliare il Labour nel centro apparentemente inattaccabile del paese rosso.
E qui entrano in campo le sardine. I terzisti e i liberali per Salvini, che pullulano, non le amano, le dannano, le assimilano a una qualunque reviviscenza di vecchie glorie ideologiche come i popoli dei fax o i girotondi o i viola. Altri cercano di imbrigliarle nel banal grande alla Saviano, di politicizzarle ben bene idolatrandole a vanvera. Invece sono un fenomeno di populismo colto, di street art, di rivolta contro la retorica banale, un’aspirazione a esserci e poi non più esserci, se necessario, senza fare un partito ma senza distruggere una lingua e una comunicazione e relazioni di cui la Bologna degli happening, delle letture dantesche, delle librerie, dei libretti canzonettari, dell’Università e del Dams è sempre stata città grassamente e dottamente prodiga. I johnsoniani di Piazza Maggiore, dilagati in giro per l’Italia e trasformati dall’imprevisto successo, non sono dei nerd, dei faticoni, dei primi della classe, sono un po’ anche clown, vanno in televisione anche troppo spesso, sciabattano appresso ai media, ma impongono finora abbastanza la loro legge: che è quella di intimare ai fini dicitori della politica e dell’epica nazionale di non proclamare troppe scemenze tutte insieme, di non semplificare le cose all’eccesso, insomma di comportarsi come si comporterebbe e si comporterà, presumibilmente, il populista BoJo al potere. Se tutto questo si potesse fare in greco antico, certo sarebbe meglio, ma anche in italiano contemporaneo va benissimo.