Il libico tragicomico Di Maio
Leggere la nota distribuita ai giornalisti durante la visita del ministro a Tripoli per realizzare che il wishful thinking grillino non funzionerà (nemmeno) in politica estera
Martedì 17 dicembre il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, è volato in Libia per incontrare – in luoghi diversi – i capi delle due metà del paese impegnate in una guerra civile. Quel giorno nel tardo pomeriggio l’ufficio stampa del ministro passò ai giornalisti una nota che avrebbe dovuto in qualche modo spiegare lo scopo e la riuscita del viaggio, oltre a fornire dettagli interessanti a proposito degli incontri faccia a faccia con gli uomini più importanti della Libia. A leggere quella nota però si sente uno scollamento totale dalla realtà: quello che c’era scritto non è quello che stava succedendo e che sta succedendo in Libia. Lo spin, l’arte di comunicare i fatti in un modo oppure in un altro, è un ingrediente della politica ma non si può eccedere altrimenti si rischia di fare come quel ministro di Saddam Hussein che in tv voleva rassicurare gli iracheni sull’andamento eccellente della guerra contro gli americani mentre già i carri armati americani entravano nella capitale. E infatti è successo che in appena tre settimane dalla visita di Di Maio la crisi libica ha accelerato e la situazione, che già era seria, è diventata complicata in modo orrendo. Due blocchi internazionali molto agguerriti hanno trasformato la Libia nel loro terreno di scontro e l’Italia, che anche soltanto per la prossimità aveva un ruolo cruciale nelle vicende di quel paese, è lasciata in disparte a temere per le conseguenze. Qui sotto pubblichiamo tutta la nota in corsivo, refusi inclusi, ma divisa per paragrafi e accompagnata da alcuni brevi commenti. A suo modo, è un documento di un tempo in cui si poteva annunciare l’abolizione della povertà – questa volta però si parla di politica estera. Ambienti della Farnesina sentiti dal Foglio confermano che la nota non è stata scritta da loro.
Di Maio sceglie di riprendere il pallino in mano e al primo viaggio in Libia incassa l’endorsment di Haftar: “Se l’avessi conosciuta prima oggi forse avremmo già firmato un accordo. Rivediamoci. Anche il mese prossimo a Roma”. L’opera di moral suasion di Di Maio è intensa. L’obiettivo è riprendere la leadership in Libia dopo il terreno perso nei mesi scorsi. E Di Maio in un giorno sceglie di incontrare tutti.
Va a Tripoli, dove vede Maitig e Serraj; va a Bengasi, dove incontra appunto Haftar. Poi Tobruk, perché la voce dell’Italia arrivi ovunque.
La nota di Di Maio parla della “moral suasion” del ministro sui leader locali, che intanto non si preoccupano di lui
Ma di questo parleremo meglio più avanti. Ora ci preme sottolineare come il primo paragrafo della nota sia interessante perché senza volere tradisce per due volte il concetto che nemmeno il più abile degli spin doctor riuscirebbe a nascondere: l’Italia ha trascurato la crisi libica e ora tenta un recupero del ritardo. Eppure la Libia è sempre stata un paese centrale nella nostra politica estera per molte ragioni. C’è la questione energia, con gli investimenti molto sostanziosi di Eni. C’è la questione immigrazione: la costa libica è usata come scalo dai trafficanti che portano centinaia di migliaia di persone verso l’Europa. C’è la questione terrorismo: fino a tre anni fa centinaia di chilometri di costa libica erano sotto il controllo dello Stato islamico, il gruppo terroristico più pericoloso del pianeta, e il rischio non è passato. Almeno due attentati in Europa – quello di Manchester e quello di Berlino – sono stati collegati dagli investigatori a mandanti in Libia. Eppure siamo in questa fase, a “riprendere il pallino in mano” e a scrivere che “l’obiettivo è riprendere la leadership in Libia dopo il terreno perso nei mesi scorsi”. L’offensiva contro Tripoli che ha scatenato la guerra civile in corso è cominciata il 4 aprile ed è certo che i servizi italiani, che sorvegliano bene l’area da sempre, avevano avvertito della possibilità di un conflitto. Sono trascorsi più di otto mesi (Di Maio non era ancora ministro degli Esteri, ma nel suo caso sarebbe difficile dare la colpa ai governi precedenti: il Conte 1 era un esecutivo a guida grillina ed era anche più forte del Conte 2). In questi otto mesi c’è stata una escalation impossibile da non notare. Droni degli Emirati arabi uniti hanno cominciato a bombardare per conto del generale Haftar anche l’aeroporto di Misurata che tra le altre cose contiene un ospedale da campo tenuto in funzione e presidiato da trecento soldati italiani.
Si legge che l’Italia deve “riprendere la leadership dopo il terreno perso nei mesi scorsi”, ma chi c’era al governo nei mesi scorsi?
Di Maio assume toni decisi, a Serraj rimprovera l’accordo coi turchi: “Dovevate dircelo, così non va bene”, ma ribadisce il “massimo sostegno dell’Italia” al governo di unità nazionale. Siamo qui “per aiutare - poi aggiunge il ministro degli esteri italiano - ma vogliamo anche delle risposte”. In sostanza: niente scherzi. Ne’ nel rapporto con i turchi, ne’ muri sul consolato a Bengasi, che l’Italia vuole aprire per piantare un’altra bandiera con la controparte.
Nella prima metà di dicembre il premier di Tripoli, Fayez al Serraj, ha stretto un memorandum di intesa con la Turchia che ridefinisce l’estensione nel mare Mediterraneo delle zone di interesse di Libia e Turchia. Dal punto di vista diplomatico, Serraj è una creazione della diplomazia italiana, tre anni fa fu messo a capo di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite grazie a una fitta serie di negoziati che furono sponsorizzati dall’Italia e da allora in teoria la sua posizione non è mutata. Di Maio arriva a Tripoli il 17 dicembre e con toni decisi rimprovera Serraj di avere fatto un accordo con i turchi. Cosa succede a quel punto? Dopo i rimproveri di Di Maio, Serraj chiama la Turchia e questa volta chiede a Erdogan di entrare direttamente in guerra per difendere Tripoli. Se prima c’era un accordo, ora c’è un’alleanza militare di natura esistenziale: senza i turchi Serraj rischia di fare una fine brutta. E’ chiaro che “il massimo sostegno da parte dell’Italia” promesso dal ministro non suona convincente.
La convinzione di Di MAIO è che non c’è più tempo da perdere e che l’Italia deve presentarsi nuovamente come un Paese guida. Sempre a Tripoli Di Maio invita Serraj a rispettare i principi della convenzione di Ginevra sui migranti e a migliorare le condizioni di chi vive nei centri di detenzione, poi condanna senza mezzi termini le interferenze di altri Paesi, definite “inaccettabili” e rassicura Serraj sul rapporto con gli USA: “Chiamerò io Pompeo”.
La convinzione del ministro è che non c’è più tempo da perdere. Ottimo, qualcuno avvisi la Farnesina. E’ interessante il passaggio in cui chiediamo a un governo sotto assedio di rispettare i principi della convenzione di Ginevra sui migranti e di migliorare le condizioni di chi vive nei centri di detenzione. In teoria gli accordi dell’Italia con Tripoli sull’immigrazione scadono nel 2020, ma il governo libico potrebbe rispondere con onestà che non sa se esisterà ancora fra qualche mese, considerato che è sotto assedio, bombardato dai droni emiratini e circondato da milizie che includono russi bene addestrati. Gli stessi articoli di giornale che hanno raccontato la visita di Di Maio riferiscono di rumori lontani di artiglieria. Come in queste condizioni si possa dettare condizioni ai capi di Tripoli senza sembrare distanti dalla realtà non è dato sapere. Il che spiega perché poi si rivolgono a Erdogan da una parte e alla Russia dall’altra.
Di maio è in continuo contatto telefonico anche con gli altri omologhi europei, in primis di UK, Francia e Germania. È dell’idea che si debbano coinvolgere tutti gli attori per una pace in Libia, inclusi turchi, russi ed Emiratini e vuole lavorare in questo senso perché l’Italia torni ad assumere un ruolo di protagonista e di leadership.
Di nuovo, si insiste sul fatto che l’Italia dovrebbe tornare ad assumere un ruolo di protagonista e di leadership – il ruolo che avevamo prima del 2018, ma questo non è specificato.
Ma soprattutto, è convinto che occorra giocare con tutti gli interlocutori “la carta della franchezza”. È il motivo per cui, anche con Haftar, Di Maio non nasconde le sue perplessità sull’avanzata, invitando il generale a riflettere sul fatto che “Italia e Libia saranno sempre due Paesi vicini e per questo si devono parlare con franchezza, la geografia non si può cambiare e come Italia siamo i più interessati a una Libia stabile e in prosperità”. Oltre un’ora di colloquio tra i due a delegazioni presenti. Di Maio e Haftar si trovano, si prendono, tanto che lo stesso Haftar a un certo punto si lascia andare: “Lei deve essere orgoglioso di se stesso, può essere l’esempio di tutti i giovani libici, un modello. Se l’avessi conosciuta prima, oggi forse avremmo già firmato un accordo. Rivediamoci. Anche il mese prossimo, a Roma”, gli dice Haftar. “Le sue parole sono importanti, io sono dell’idea che bisogna smetterla con le foto opportunity e darsi da fare concretamente”, replica Di Maio. Si stringono la mano, poi l’invito alle delegazioni a lasciarli soli per un ulteriore momento di confronto, più riservato.
Si insiste sulla “franchezza” con Haftar, allora perché non sollevare la questione del drone italiano abbattuto e mai restituito?
L’obiettivo è tornare a fare breccia in uno scenario complesso come quello libico. Sullo sfondo c’è il timore che possano aumentare i flussi migratori, la minaccia terroristica e l’Eni.
Serraj è una creazione della diplomazia italiana, ma adesso stringe patti di difesa con il presidente turco Erdogan
Quello di oggi, da parte di Di Maio, è stato solo il primo passo. Ne seguiranno altri, anche con i Paesi vicini con cui Di Maio si era già riunito a cena in occasione dei Med. Al rientro a Roma, infine, prima della conferenza, il ringraziamento personale al corpo diplomatico e all’Aise. “Il sistema Paese c’è ed è forte, è la politica - dice loro Di Maio,.
prima di congedarsi, al rientro da Tobruk - che deve sapere come dargli impulso. Io farò il massimo e intanto vi ringrazio per lo straordinario lavoro che fate ogni giorno”.
La nota su questo è sincera: diplomatici e servizi segreti sanno fare il loro mestiere, hanno canali ottimi, hanno organizzato un viaggio che pochi paesi possono permettersi. Ed è anche sincera sul “tornare a fare breccia in un sistema complesso come quello libico”. Tornare. Una volta ci occupavamo di Libia, poi abbiamo perso l’iniziativa.