Roma. Non ci ha nemmeno provato Emmanuel Macron a far pace con le proteste. Durante il suo discorso di fine anno qualcuno si aspettava che il presidente francese facesse qualche concessione, un cenno di riconciliazione, se non di apertura. Invece no. Dall’Eliseo il 31 dicembre è partito il contrattacco e il secondo atto di una presidenza ferma, spericolata e sicura di sé. Sono bastati diciotto minuti, gli occhi in camera, il completo blu notte, Macron in piedi, per dire ai francesi che non si fermerà, la riforma, “la madre di tutte le riforme”, andrà avanti perché se i cittadini lo hanno eletto presidente per cambiare e trasformare il paese c’è bisogno soprattutto di questa nuova legge. Anzi, è pronto a dedicare ancora più energia per la trasformazione del paese, per “renderlo più forte, più giusto, più umano”, anche se sempre arrabbiato. Di solito, ha aggiunto il presidente nel suo messaggio di auguri (anche un discorso di metà mandato) questo è il momento in cui la politica rinuncia “ad agire con vigore per non la sciare scontento nessuno in vista delle elezioni future”, e non sono queste le sue intenzioni. La Francia deve essere scossa anche se gli scossoni fanno paura e lui è pronto a scuoterla fino all’ultimo giorno della presidenza. Non è il momento di rimandare e nemmeno di cedere alle preoccupazioni – “le preoccupazioni portano all’inerzia” – perché c’è ancora troppo da fare per un paese che desidera recuperare la sua centralità in Europa e nel mondo. Il presidente ha annunciato che non si arrenderà né al pessimismo né all’immobilità: alla sua riforma non si rinuncia.
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